RSS

Archivi categoria: Fumetti

Comix Archive e le traduzioni criminali

Come forse qualcuno si ricorderà, il vostro amato Bakakura di mestiere fa il traduttore. La mia professione è uno dei motivi per cui aggiorno il blog molto raramente: dopo aver passato ore e ore a tradurre, e ore e ore a scrivere, la voglia di passarne altre a bloggare non è spaventosamente alta.

A ogni modo, come ogni buon (?) traduttore che si rispetti, ho un’avversione naturale nei confronti dei traduttori cattivi. Non li sopporto. I cattivi traduttori gettano fango sulla professione e sull’arte della traduzione in sé, oltre a essere, normalmente, dei perfetti imbecilli: individui che solo la mollezza della società moderna ha risparmiato dal subire gli effetti della selezione naturale. In un ambiente sano, il gruppo si purgherebbe naturalmente di simili individui; purtroppo, per qualche motivo, essi tendono a rimanere liberi di operare e di corroderlo dall’interno.

Peggio ancora dei cattivi traduttori, però, sono i traduttori infami: coloro i quali distorcono volontariamente il messaggio originale per scopi di vario genere, solitamente di carattere ideologico. Non distinguo fra destra o sinistra, progressisti o retrogradi; chi nega la verità è un infame e merita di essere riconosciuto pubblicamente come tale. Non importa quanto sia buona la tua causa: se menti, sei un bugiardo.

Tutta questa premessa serve a introdurre l’orrore in cui sono incappato poco fa. Si tratta di una traduzione infamissima, dove affermazioni fasulle e diffamatorie sono attribuite a persone che non le hanno mai fatte. Sto parlando, ovviamente, della traduzione dell’intervista di CBR News ad Axel Alonso riguardo l’outing dell’Uomo Ghiaccio. Edit: Mi hanno informato che l’articolo in questione è stato rimosso da Comix Archive. Vittoria! ^_^

L’antefatto

Per chi ancora non lo sapesse, il numero 40 di All New X-Men ha visto l’ennesima innovazione in casa Marvel: l’Uomo Ghiaccio, uno degli X-Men originali, è stato ufficialmente dichiarato omosessuale. E fin qui, tutto bene. La politica della Marvel di “modernizzare” i suoi personaggi rendendoli gay, bisessuali, neri o [inserite la vostra minoranza preferita qui] si può discutere, ma quello che è certo è che dei loro personaggi fanno quello che vogliono, dicono quello che vogliono e, più in generale, hanno il pieno controllo.

Il fattaccio

Quello di cui non si può discutere, trattandosi di un principio non negoziabile, è il fatto che, nel tradurre un’intervista, va rispettato il messaggio originale. Fare il contrario non è soltanto contrario all’etica, alla morale e (nel caso dei lavori su commissione) alle condizioni contrattuali, è anche illegale: far dire a qualcuno cose che non ha detto, infatti, può configurarsi come diffamazione, soprattutto se le affermazioni in questione vengono messe tra virgolette. Potrebbe essere questo il caso dell’intervista ad Axel Alonsoeditor-in-chief della Marvel Comics, effettuata da CBR News, riportata e tradotta da Comix Archive. I primi due non hanno colpe, almeno per quanto ne sappia io: non mi risulta che abbiano commissionato o approvato la traduzione (del resto, per approvare una boiata del genere bisognerebbe essere autolesionisti). Comix Archive, invece, di colpe ne ha un sacco. Vediamo quali.

L’articolo che ho linkato (reperito l’8 luglio 2015) riporta le domande del giornalista e le dichiarazioni di Alonso, entrambe in inglese, a fronte della traduzione in Italiano. Il problema è che, fra le une e l’altra, c’è un abisso in termini di tono. Alcune affermazioni hanno subito pesanti modifiche nella traduzione, con l’aggiunta di espressioni aspre e critiche che non appaiono nell’originale e ne stravolgono il significato. Ad esempio, osservate questo passaggio (fate click per ingrandire):

Screenshot 2015-07-08 18.18.37

Quel “caratterizzato da una sessualità molto deviata” non compare, nemmeno parafrasato, nel testo originale. È un’invenzione del traduttore. Non esiste. Eppure eccolo lì, attribuito a un redattore di CBR News che non si è mai sognato di pronunciarlo. Si tratta di un fatto gravissimo. “Deviata” è un termine fortemente negativo, e considerare tale l’omosessualità non rientra nella linea politica di CBR News, perlomeno per quanto ne sappia io. E anche se vi rientrasse, spetterebbe alla testata decidere come e in che modo esprimere questo suo orientamento, non certo al primo cretino che passa.

Non contento, il traduttore prosegue con ulteriori oscenità (fate click per ingrandire):

Quote 2

Continuano le invenzioni del traduttore, ormai fuori controllo: “sessualità depravata” e “che qualcosa non andasse in lui” non sono parole di Alonso, che non le ha mai pronunciate (e del resto, avendo lui stesso approvato il contenuto della storia, non avrebbe avuto senso che le pronunciasse). Non l’ho sottolineato e non ho voglia di riaprire Paint (sì, ho modificato gli screenshot con Paint. Denunciatemi), ma poco sotto si legge “se il giovane Bobby confessava [sic] la sua sessualità deviata”, traduzione poco probabile di “if young Bobby were to come to this moment of clarity”. Non contento, il traduttore massacra la lingua italiana oltre che l’intervista originale.

A parte il bigottismo più becero, condito da una buona dose di cretineria, quale altra giustificazione può esserci per questo comportamento? Ve lo dico io: nessuna. Chi ha tradotto l’intervista ad Alonso è un bugiardo, bigotto e ignorante (delle regole della traduzione e della grammatica, quantomeno). La sua opera danneggia gravemente l’immagine di un autore e di un intervistatore che, nell’originale, si comportano in modo esemplare. La cosa peggiore è che una persona che non legge bene l’inglese potrebbe non accorgersi delle menzogne e arrivare a credere che tanto Alonso quanto CBR News siano degli omofobi (magari lo sono davvero, ma di sicuro non in questa intervista).

Le menzogne non finiscono qui! Qualche paragrafo dopo, il traduttore inventa reazioni “esterrefatte e scandalizzate” a cui l’intervistatore non aveva neppure pensato (fate click per ingrandire):

Quote 3

Da notare come l’originale non specifichi le reazioni del pubblico, chiedendo semplicemente ad Alonso un’opinione sul responso dei lettori. Il giornalismo corretto è stato tradotto come giornalismo scorretto, dato che una delle regole fondamentali dell’intervista è “Mai guidare l’interlocutore verso una risposta specifica”.

Non sto a riportare il resto dell’articolo; gli ho dato solo una scorsa e mi sembra che di boiate grosse come quelle sopra non ce ne fossero. Potrei sempre sbagliarmi; del resto, non c’è limite all’idiozia. Disse bene il grande Isaac Aasimov quando scrisse: “Contro la stupidità umana, neanche gli dèi possono lottare con successo.

Non so se CBR news sia o meno al corrente della traduzione e l’abbia approvata. Nel dubbio, oltre ad aver scritto questo articolo, ho inviato loro una mail in cui ho denunciato l’abuso perpetrato nei loro confronti. Spetterà a loro, ed eventualmente ad Alonso e alla Marvel, intraprendere eventuali azioni legali. Da parte mia, ho semplicemente esercitato il mio diritto di critica e denunzia civile, come stabilito dalla Corte di Cassazione. Sperando che, almeno questa volta, sia sufficiente.

 
6 commenti

Pubblicato da su 08/07/2015 in Fumetti

 

Tag: , , , ,

Di nuovo sui nostri schermi: Martina Ferrari

Qualche tempo fa ho segnalato il webcomic Davvero, dando le mie prime impressioni (non del tutto positive). All’epoca, era uscita da poco la terza puntata; ora siamo all’ottava. Qualcosa è cambiato, qualcosa no. In generale, mi sembra che la situazione sia migliorata non di poco, ma ci sono ancora dei punti estremamente critici.

Tanto per cominciare, la coerenza nel character design comincia a venire meno: il caso più emblematico è la puntata 5, dove i genitori di Martina (in particolare la madre) cambiano aspetto a ogni vignetta, sfiorando il super-deformed (seconda tavola, ultima vignetta). C’è poi il fatto che, nella puntata 8, Martina acquisti magicamente una o due taglie di reggiseno in più, o che nella settima il body shot dell’ultima tavola sembri basato su geometrie non euclidee; ho visto di peggio (l’episodio di Brendon in cui il disegnatore ha dato al pallido protagonista lineamenti africaneggianti… brr!), ma anche di meglio. Se non altro, la qualità dei disegni rimane buona, a livello di molti fumetti venduti in edicola.

Marti/Paola, lo vieni a chiedere a me? Mica lo scrivo io il fumetto! "^_^

Mi ha lasciato perplesso il commento di Paola Barbato, sceneggiatrice del fumetto, in risposta alla mia segnalazione riguardo, uhm, i polmoni della protagonista:

I fab 12 avevano avuto indicazioni precise su altezza e aspetto, ma nulla sulla procacità, e lavorando in parallelo ognuno ha seguito la propria scuola…

Il pubblico femminile mi darà del pervertito (quelle che non l’hanno già fatto, intendo ^_^), ma credo che un aspetto così importante del lato fisico del personaggio principale non andrebbe preso tanto alla leggera. Per dirla in altri termini, l'”identità fisica” è importante almeno quanto quella caratteriale e, in effetti, le due dovrebbero essere strettamente correlate: una ragazza piatta e acida trasmette un’impressione diversa rispetto a una prosperosa e acida, o sbaglio? Nel primo caso, se non altro, qualcuno potrebbe pensare che le radici del suo atteggiamento siano all’altezza del petto… ^_^ Immaginate, per analogia, un protagonista maschile disegnato a volte magrolino e altre volte con dei muscoli più che dignitosi: non fa la stessa impressione, no?

Caratterialmente, Martina sembra diventata bipolare, alternando momenti di sconforto e lacrime a momenti di euforia. Questo non è per forza un male, però in diveri punti l’enfasi sulla “paura del mondo esterno” è un po’ eccessiva e contrasta troppo con il menefreghismo mostrato prima o dopo. Di buono c’è che, nonostante questo, il personaggio è diventato più credibile e simpatetico rispetto a prima; se non altro, ha dei motivi per comportarsi come si comporta. Prima, il suo carattere era ingiustificato, una semplice scusa per dare il via alla storia; adesso contribuisce a creare aspettative e dubbi su “cosa accadrà”.

Quoto, figliola, quoto

Parlando della storia: finora, complice anche la brevità delle puntate, è successo un gran poco. Nonostante gli “avanzamenti veloci” siamo comuni (specialmente nel caso dell’ottavo episodio), la mia impressione è che a volte quanto viene mostrato non sia “davvero” importante: nell’ultima puntata si sarebbero potute eliminare alcune vignette (quella in cui Martina giace sul letto e quella in cui compra l’orologio) e usare lo spazio così guadagnato per raccontare in modo più approfondito e meno frammentario il resto. In generale, però, la gestione dei ritmi non è malvagia e, dovendo raccontare ciascun episodio in poche vignette, si è per forza costretti a fare qualche taglio.

Davvero continua a incuriosirmi e io continuerò a seguirlo, anche se credo che buona parte di questa attrattiva sia dovuta alla sua gratuità: se fosse a pagamento, non penso che lo leggerei. Perlomeno, non se lo diventasse domani; la mia opinione iniziale è migliorata e credo che, in futuro, ci potrebbe essere un mercato per fumetti come questo… anche se preferirei una soluzione “all’americana”, con il fumetto che rimane gratuito e una serie di “accessori” (raccolte stampate, merchandising, speciali, ecc) disponibili per l’acquisto. Però credo sia ancora presto per fare progetti di questo genere.

 
5 commenti

Pubblicato da su 15/12/2011 in Fumetti, Uncategorized

 

Tag: , ,

Davvero davvero?

Davvero è un fumetto sceneggiato da Paola Barbato e disegnato da alcuni autori italiani. Nelle parole dell’autrice, tratte dal sito del progetto:

Da tempo ne parlavo con Mauro Marcheselli, ci chiedevamo perché in Italia nessuno tentasse di scrivere una serie intimista, romantica, di formazione, uno shojomanga ma ambientato qui, nel bel paese con tutte le sue magagne. Secondo noi era un errore non tener conto di tutti i lettori amanti di quel genere. Perché nessuno offriva loro un prodotto seriale simile ma ambientato in Italia? Qualcosa che parlasse della vita di tutti i giorni, l’amore, l’amicizia, i rapporti con i genitori, le esperienze, la conoscenza di sé stessi, il dolore… La realtà, insomma. Una storia sulle cose vere.

Il webcomic segue le vicende di Martina Ferrari, 19enne di Brescia (toh, siamo conterranei!), studentessa universitaria in piena crisi esistenziale. Finora sono state pubblicate tre puntate di sei tavole ciascuna, che mostrano la ragazza alle prese con i problemi della vita di tutti i giorni (causati, in massima parte, dal suo pessimo carattere).

L’idea dietro Davvero non è una novità: come dice Barbato, è una cosa che all’estero (sopratutto in Giappone) si fa da diverso tempo, ma che in Italia fatica a prendere piede per via del tradizionalismo della nostra editoria (dove l’editore non è “imprenditore” nel vero senso del termine, cioè una persona che accetta dei rischi con la prospettiva del profitto, ma preferisce tenere il culo ben appoggiato sulla poltrona e andare solo a colpo sicuro). L’autrice ha così deciso per la via del webcomic, ed è una scelta che mi piace molto: la pubblicazione sul web ha un pubblico potenziale molto ampio (compreso chi, di solito, non legge i fumetti) e costi assai contenuti. Inoltre, l’assenza di un editore assicura agli artisti il controllo completo della loro opera e, di conseguenza, contribuisce a scongiurare l’omologazione e a spingere verso l’originalità.

La prima apparizione di Martina. Notare il fanservice ^_^

Per quanto riguarda il fumetto vero e proprio, i disegni sono molto interessanti. Essendo opera di persone diverse, l’uniformità non è eccessiva, ma sono riusciti a fare un buon lavoro, evitando che i personaggi siano irriconoscibili quando passano da una penna all’altra (sì, disegnatori di Volto Nascosto, sto parlando con voi!); cosa più importante, nessuno dei disegnatori fa schifo, cosa che non si può dire di gente che ancora lavora a livello professionale (sì, Roberto Diso, sto parlando proprio di te).

Davvero, purtroppo, ha un problema molto grave a livello narrativo: la sua premessa è implementata malissimo. Martina non è una persona “qualunque”, in cui tutti si possano identificare: certo, non ha il viso più affascinante del mondo, ma è bionda, magra e con un bel sedere. Ha il futuro assicurato, perché entrambi i suoi genitori sono imprenditori (“[Se Martina molla l’università], finisce o in ditta col padre o in agenzia con la madre”), e quando suo padre la caccia di casa lo fa regalandole ventimila euro, che è poco meno di quanto uno dei miei genitori (insegnanti a fine carriera) guadagna in un anno. Quanti giovani “veri” possiedono tutti questi privilegi? Uno su diecimila? Uno su centomila? Quello che succede “davvero” a Brescia e nel resto dell’Italia è che un terzo dei giovani dell’età di Martina o più vecchi non ha lavoro, non ha genitori che potrebbero assumerli nelle loro aziende e non ha modo di recevere “incentivi” da ventimila euro. E, se hanno problemi coi genitori, se li devono tenere, perché non hanno la possibilità di andare a vivere altrove. A differenza di Martina. Un’analogia per chiarire quanto sia assurdo, nel contesto, il background della protagonista: sarebbe come se Pasolini, per rappresentare la “vita di borgata” della Roma dei suoi tempi, avesse scelto di puntare i riflettori su una famiglia della media borghesia, per di più di buona tradizione (Martina si riferisce ai frequentatori di Cortina come a “cafoni arricchiti”, il che implica che i soldi della sua famiglia siano “vecchi”).

Parlando della protagonista: è insopportabile e poco credibile dal punto di vista caratteriale. Nella sua vita non ci sono problemi: è lei che se li crea, probabilmente per dare all’autrice qualcosa di cui scrivere. Tanto per cominciare, non si capisce perché dovrebbe avercela con i propri genitori: sua madre non si accorge nemmeno dello sgarbo con cui lei la tratta e l’atteggiamento del padre è giustificato da quello della figlia (anzi, da come la tratta sembra genuinamente preocupato per lei). Il corso di laurea che frequenta non le piace, ma non sembra che i suoi genitori l’abbiano costretta a intraprenderlo (anche se, da questo punto di vista, il dialogo con il padre nella terza puntata è ambiguo). Per concludere, Martina ha un mucchio di amici. Che ha per essere tanto incazzata?

Capricci come questi li facevo anche io... a quindici anni. Martina ne ha diciannove

I tonti “intimisti” prospettati nelle parole dell’autrice che ho citato non si trovano da nessuna parte e la stessa definizione di “manga italiano”, con cui l’autrice si riferisce al progetto, non ha senso: il manga è un’istituzione tipica della cultura giapponese, a cui Davvero non assomiglia né per lo stile né per i contenuti. Certo, può darsi che “manga” colpisca di più i gggiovani e abbia una visibilità maggiore sui motori di ricerca…

Per lo stesso motivo, mi convincono poco le immagini pin-up raccolte nella pagina Facebook del progetto, a cominciare dall’avatar in alto a sinistra che mostra una protagonista abbellita e più pettoruta di quanto appare nel fumetto (guarda caso, la scritta è proprio a quell‘altezza). Che senso ha mostrarla sorridente o ammiccante, se nel fumetto ha perennemente il muso? Capirei se si trattasse di un personaggio più sfacettato e “multiforme”, come la Gea di Luca Enoch, ma qui siamo di fronte a un blocco di ossidiana vestito da festa. Per carità, ognuno ha il diritto di pubblicizzarsi come gli pare, ma secondo me farlo così è scorretto (e potenzialmente controproducente: una Martina ringhiante o rappresentata nell’atto di mandare al diavolo il mondo sarebbe stata più appetibile per il pubblico dei suoi simili, ovvero i giovani che fanno i ribelli ma frequentano le scuole più prestigiose finanziati da papà).

Credo che continuerò a seguire Davvero, un po’ per curiosità e un po’ per vedere se i miei dubbi troveranno risposte. Al momento, però, la mia opinione è abbastanza negativa. C’è da dire che le “puntate” di Davvero sono davvero brevissime rispetto a un fumetto normale (a cui di solito dò tre numeri per convincermi), quindi può darsi che, una volta che gli artisti avranno finito di illustrare la prima infornata di sceneggiature, Barbato si accorgerà che qualcosa non va e prenderà provvedimenti. Staremo a vedere.

 
2 commenti

Pubblicato da su 25/11/2011 in Fumetti

 

Tag: , , , ,

È morto Sergio Bonelli

Stanotte ho fatto un sogno: discutevo assieme ad alcuni amici del costo di pubblicare un fumetto in Italia e ricordo di aver detto che “Per risparmiare potreste fare come fanno tutti, tranne Bonelli, e usare il computer per il lettering”. Stamattina ho letto su Repubblica.it la ferale notizia (relegata, ahimé, nella colonnina laterale). Sarà un caso?

La morte di Sergio Bonelli mi è dispiaciuta molto. Sebbene, come editore, Sergio fosse ancorato a idee ormai superate da tempo (“le ricerche di mercato sono inutili”, “su una pagina ci devono stare sei vignette, punto”, ecc), il suo ruolo storico nella creazione di una cultura del fumetto in Italia non può essere negato da nessuno. E come scrittore di fumetti (parecchi Tex, Mister No, ecc) era parecchio bravo. Mi mancherà.

 
Lascia un commento

Pubblicato da su 26/09/2011 in Fumetti

 

Tag: ,

Segnalazione: “Peace Maker” di Ryoji Minagawa

Peace Maker (gioco di parole fra “pacificatore” e il nome della famosa pistola prodotta da Colt, la Peacemaker) è un manga ambientato in un mondo simile al Vecchio West americano, dove il sistema dei duelli è un vero e proprio business con tanto di professionisti certificati e loro manager. Il protagonista, Hope Emerson, è un pistolero vagabondo e un po’ sfigato, ma abilissimo nel tiro, che grazie al proprio senso di giustizia si trova a dover affrontare i Crimson Executors, una banda di assassini al servizio di un potente criminale. A complicare le cose, Hope è costretto a occuparsi di Nicola, una ragazzina all’apparenza sola al mondo… ma che in realtà è la nipote di Philip Crimson, capo della famiglia (in tutti i sensi) da cui lei è fuggita. E qui cominciano i guai…


Peace Maker è un bel fumetto, disegnato piuttosto bene e con una storia – per ora – interessante. Le armi da fuoco (in particolare le pistole) sono le vere protagoniste: l’autore le mostra in modo estremamente realistico e i pistoleri usano tecniche reali, anche se a volte la velocità e la precisione con cui le eseguono sono esagerate per motivi drammatici (si veda il primo duello di Hope). Come ogni bravo mangaka che si rispetti, non perde l’occasione di mostrare anche armi del tutto inventate, come la Gatling brandeggiabile usata dal bruto del quarto capitolo: una roba assurda, ma con un certo carisma.

I comprimari del fumetto sono gradevoli, in particolare Nicola; Kyle, il manager con la mania del gioco d’azzardo, mi è puzzato un po’ di stantio all’inizio, ma verso la fine del primo numero la sua figura si approfondisce. Per ora non sono apparsi altri personaggi interessanti.

Peace Maker sembra un bel fumetto, ma penso che occorrerà almeno un altro numero prima che io possa farmi un parere completo. Consiglio comunque l’acquisto, sopratutto se siete appassionati di West e armi da fuoco antiche. ^_^

 
Lascia un commento

Pubblicato da su 28/07/2011 in Fumetti

 

Tag: , , ,

“Lilith” e fumettame vario

Questo articolo doveva essere, in origine, una semplice recensione dell’ultimo numero di Lilith, da usare come spunto per alcune osservazioni sulla gestione dei ritmi narrativi. Poi ho pensato che, per i lettori che non conoscono il fumetto, avrei dovuto farne una breve introduzione. Il risultato è quello che vedete sotto: un mostro di mille e quattrocento parole solo per quanto riguarda la parte su Lilith, più osservazioni sparse su altri fumetti. Spero che vi piaccia. ^_^

Lilith

Lilith è un fumetto sceneggiato e disegnato da Luca Enoch, l’autore di Sprayliz e Gea. Racconta le vicende di una viaggiatrice temporale coi superpoteri, Lyca, che attraversa varie epoche alla ricerca del Triacanto, una sorta di virus che nel futuro da cui proviene ha costretto l’umanità a rifugiarsi nel sottosuolo. Per distruggere il Triacanto e impedirgli di germinare, Lyca deve aprire come polli uomini ancora vivi ed estrarlo dai loro petti: l’unica speranza per la sua epoca è che lei non abbia pietà di nessuno, altrimenti il Triacanto sopravviverà e il futuro sarà condannato. Inoltre, un errore potrebbe implicare la diffusione prematura del Triacanto, con risultati analoghi. A oggi (siamo al numero sei), Lyca ha visitato la Troia omerica (dove il figlio di Enea l’ha chiamata con il nome che ha deciso di fare proprio: Lilith), i Caraibi nel ‘600 e nel ‘700, il fronte italiano durante la Prima Guerra Mondiale, gli Stati uniti in piena Guerra di Secessione, la Groenlandia e l’America all’epoca dei vichinghi e Nanchino durante l’occupazione giapponese del 1938. La cultura e le lingue dei luoghi in cui si trova le vengono trasmesse dal  “miriapode”, un incrocio fra un millepiedi e una grassa larva che le inocula queste conoscenze pungendola (da dove arrivi questa creatura è un mistero che sarà – forse – rivelato in qualche episodio futuro); accanto a lei, inoltre, è sempre presente lo Scuro, uno strano felino volante che la scarrozza di qua e di la e ogni tanto le da qualche informazione aggiuntiva sui comportamenti bizzarri degli esseri umani (Lyca è cresciuta nei rifugi sotterranei del futuro, pertanto fatica a comprendere i suoi simili).

Copertina del primo numero, con Lyca e lo Scuro in primo piano

I nemici di Lyca sono i Cardi, esseri umani trasformati in creature vegetali dal Triacanto. Come possano contrastarla è un mistero: la fanciulla è completamente invulnerabile ai loro attacchi e può farli a pezzi facilmente. Il ruolo dei Cardi pare sopratutto quello di ostacoli a livello psicologico, visto che sembrano conoscere aspetti del passato e della missione di Lyca che lei stessa ignora e in almeno un caso uno di loro arriva vicino a rivelarglieli, prima che lo Scuro lo faccia a pezzi. A tutti gli effetti, comunque, i Cardi sono gli antagonisti più inutili che si siano mai visti: non costituiscono una minaccia per la protagonista e non sembrano in grado di proteggere il Triacanto che li ha creati. In altre parole, sono penosi.

Un attacco dei Cardi. Come sempre, non servirà a nulla.

Man mano che la storia prosegue, appare chiaro che gli addestratori di Lyca e i suoi stessi genitori non le hanno raccontato tutta la verità: sempre più indizi (il fatto che Lyca veda spettri abbigliati in modo totalmente diverso rispetto all’epoca in cui si trova e non possa essere contagiata dal Triacanto) puntano verso il fatto che la procedura che ha dato alla ragazza i suoi poteri l’abbia uccisa, dato che, secondo le parole di un Cardo, “solo i morti possono viaggiare nel tempo”. Inoltre, se Lyca dovesse avere successo nella propria missione, l’unica ricompensa sarà la sua fine: senza il Triacanto il futuro cambierà, i suoi genitori non si rifugeranno nel sottosuolo e non si incontreranno mai. Questa consapevolezza rende Lyca una persona piuttosto cinica, anche se purtroppo ci sono diverse situazioni in cui il suo atteggiamento contraddice il suo carattere.

Ritratto di Lyca ammiccante; sarà un caso che il suo nome voglia dire "prostituta"? ^_^

Enoch mi è sempre piaciuto come autore, per cui due anni e passa fa (il fumetto è un semestrale), quando ho iniziato a leggere Lilith, mi aspettavo una cosa degna di lui, ricca di sesso e violenza e con la giusta dose di volgarità. Da questo punto di vista, sono rimasto abbastanza deluso: il sesso è poco (ma il fanservice abbonda: non c’è episodio senza una scena in cui Lyca è a tette al vento ^_^), la violenza dopo un po’ diventa ripetitiva (Lyca è invulnerabile e dotata di artigli che strappano l’acciaio, quindi nessun nemico è una vera minaccia per lei) e la volgarità… non c’é: tutti parlano in modo pulitissimo, senza nemmeno dire parolacce. Per fortuna Enoch non ha perso la propria tradizionale scorrettezza politica e in ogni episodio se ne vedono delle belle (nel numero sei, fra i pochi personaggi positivi ci sono un nazista e una fanatica religiosa!); inoltre la caratterizzazione delle varie epoche storiche è molto precisa e dettagliata, almeno per quanto posso dire io che non sono uno storico. Speriamo che in futuro Enoch si ravveda e inserisca più sesso e violenza più interessante; il primo è praticamente un obbligo, perché il nome della protagonista non è altro che il femminile della parola greca “lykos”, che signifca “lupo”: quindi Lyca è una lupa, cioè una prostituta. ^_^

Lyca con le tette al vento

I veri problemi di Lilith sono la protagonista e la gestione della trama. Lyca è l’Elric di Melniboné dei fumetti: i suoi grandi poteri e il destino crudele che la attende, frullati assieme, producono un potenziale di marysueaggine davvero notevole, tantopiù che alla fine di ogni numero c’è una rubrichetta intitolata Ucronia dove sono mostrati i cambiamenti apportati alla Storia dalle sue azioni. Inoltre, e questo è anche peggio, l’autore si contraddice spesso riguardo il suo carattere: in molte scene la ragazza è fredda e distaccata, ma in altre si lascia commuovere, piange o addirittura si innamora (come accade nel quinto numero) senza ragione apparente (nell’ultimo caso, addirittura, la cosa non ha senso, perché Lyca è addestrata a non sviluppare alcun tipo di attaccamento). Nonostante il suo cuore tenero che la spinge ad assistere gli indifesi, Lyca non ha alcuna remora a massacrare decine di persone alla volta, quando queste si mettono in mezzo: non sfrutta nemmeno i suoi poteri per toglierseli di torno, semplicemente li fa a pezzi. Inoltre, per essere una ragazza coinvolta in qualcosa di più grande di lei, Lyca è stranamente poco curiosa: nonostante le rivelazioni dei Cardi sul possibile inganno di cui è vittima, non chiede alcuna spiegazione allo Scuro, che sta palesemente cercando di distoglierla da quel filone di indagine. Mah!

Lilith ha bisogno di più scene come questa!

Il secondo, grave problema di Lilith è il ritmo della narrazione. Ogni numero ruota intorno alla distruzione del Triacanto, che richiede a Lilith di trovare il Portatore, ossia l’individuo infetto nell’epoca in cui si trova; ma tale cerca non è in alcun modo fonte di suspence o spunto drammatico, visto che finora il Portatore è sempre sbucato fuori più o meno dal nulla e la sua identità non è mai stata importante per la risoluzione di una trama. Più spesso che non, la cerca di Lyca sembra una scusa per mostrare un documentario su un dato luogo in un dato periodo storico: questo intento diventa molesto in alcuni episodi, come Il fronte di pietra (numero 3) e Il re delle scimmie (numero 6), dove Lyca trotta in giro per lo scenario alla ricerca del Triacanto e, quando lo trova, tutto si risolve nel giro di poche tavole. Ridurre il protagonista al ruolo di “occhio del lettore” è cosa ben triste e spero che Enoch, in futuro, si ravveda e incentri le storie sul personaggio di Lilith più che sull’epoca in cui lei si viene a trovare.

Nonostante tutti i problemi che ho evidenziato, continuerò a leggere Lilith: Enoch disegna bene, l’opera  di documentazione alla base del suo lavoro è eccellente e i suoi personaggi, Lyca compresa (nonostante le contraddizioni), sono ben caratterizzati. Aspetto con ansia il numero in cui Lyca deciderà che del futuro non gliene frega niente, metterà su famiglia col Portatore e conquisterà il mondo grazie ai superpoteri: vero che me lo fai un numero così, Enoch? :-D

A proposito di uscite future: il prossimo numero sarà ambientato nell’Alto Impero Romano. C’è un problema, però: nel primo episodio della serie, Lyca ha ucciso Enea! È vero che la famiglia del leggendario antenato di Romolo è riuscita a scappare, ma mi sembra poco credibile che una donna, un ragazzo e un vecchio abbiano navigato dalla Turchia fino alle coste del Lazio. Spero che Enoch abbia tenuto in considerazione questo piccolo paradosso da lui creato.

Fumettame vario

Qualche giorno fa, mentre ero in fumetteria, mi sono messo a sfogliare I giorni della sposa (Otoyomegatari in originale) di Kaoru Mori (preview gratuita – scannerizzata alla brutto dio, aggiungerei – qui). I disegni dettagliati di costumi tipici dell’Asia Centrale mi hanno conquistato e ho deciso di comprarlo. Non me ne sono pentito: I giorni della sposa è un fumetto molto bello, dal ritmo ben congenato, con disegni splendidi e una storia interessante. La trama ruota intorno a una famiglia di pastori del Diciannovesimo Secolo in cui, un bel giorno, arriva la sposa di uno dei figli. L’originalità è data dal fatto che, contrariamente alla tradizione, la moglie è molto più anziana del marito: mentre lei è una donna di vent’anni, lui è un ragazzino di dodici che sembra vederla più come una nuova madre che non come una partner sessuale (è piuttosto imbarazzato quando la vede nuda per la prima volta e sembra proprio che, sotto le coperte, i due non facciano altro che dormire). Stranamente, su questo fatto non ho letto polemiche in giro: mi aspettavo una sollevazione contro l’idea di una povera ragazza costretta a fare da madre a un marito-bambino (affermazione che sarebbe assolutamente falsa, visto che nel fumetto la donna si affeziona subito al coniuge e alla sua famiglia), invece non ho trovato nulla. Peccato: ero già pronto a contropolemizzare. Oh beh, sarà per un’altra volta. ^_^

La sposa, che si chiama Amira, è un personaggio bellissimo. È una cavallerizza provetta, una tiratrice con l’arco eccezionale e una brava conciatrice, eppure non è affatto un personaggio mascolino: al contrario, è gentile e servizievole e si integra perfettamente nella vita della famiglia del marito, senza che questa le sia in alcun modo “stretta”. Non è, insomma, la classica femmina frustrata per cui lavare i piatti e cucinare rappresentano un retaggio della dominazione maschile e della discriminazione sessuale: ad Amira piace prendersi cura degli altri, non perché le abbiano fatto il lavaggio del cervello da piccola, ma perché è una persona buona. Tutto il primo numero è pervaso dalla sua dolcezza e delicatezza: quando Karluk, il suo giovane marito, si ammala in modo non grave, la preoccupazione e l’ansia di Amira sono commoventi. Eppure quella stessa Amira è capace di dare uno spettacolo splendido e terribile quando, in sella al suo cavallo, abbatte con una freccia una lepre in fuga: una scena violenta (anche se nel fumetto il sangue non si vede mai), ma anche giosa (la soddisfazione di Amira per un lavoro ben fatto) e riscaldante (il momento in cui la famiglia mangia la zuppa di lepre cucinata da Amira è toccante nella sua semplicità). Tutto il fumetto è così: l’azione è lenta, ma è una lentezza benvoluta, perché dà modo di lasciarsi trasportare dai sentimenti e dai disegni che, vale la pena ripeterlo, sono splendidi.

Una vignetta da "I giorni della sposa". Il livello di dettaglio è lo stesso in tutto il fumetto.

Un altro fumetto in cui mi sono imbattuto per caso è Grimm Fairy Tales, il cui titolo è un gioco di parole fra “Grimm” (il cognome dei famosi fratelli favolisti) e “grim” (che in Inglese vuol dire “cupo, senza speranza”). La cornice è tutto sommato banale (ci sono persone che possono mostrare agli altri le conseguenze delle loro azioni facendo vivere loro delle specie di fiabe in versione horror), ma le fiabe “rimaneggiate” sono molto belle: fra le migliori ci sono Cappuccetto Rosso, Pinocchio, La bella e la bestia e The boy who cried “wolf!”, che in Italiano non so come si chiama. Oltre alla serie regolare c’è anche uno spinoff ispirato ad Alice nel Paese delle Meraviglie (molto bello e malato quanto basta) e diversi speciali. Il fumetto si può acquistare qui, oppure ce lo si può procurare tramite mezzi diversi che tutti conosciamo. ^_^

Le protagoniste di "Grimm Fairy tales" vestono tutte così e sono anche più prorompenti. Non vi viene voglia di leggerlo? ^_^

Per oggi è tutto. Alla prossima!

 
Lascia un commento

Pubblicato da su 23/06/2011 in Fumetti, Uncategorized

 

Tag: , , , , , ,

Dei cervelli strinati, o “La leggenda del Re Lupo”

Ebbene sì: nonostante avessi detto di ogni contro Il Re Lupo, qualche giorno fa mi sono comprato il seguito. Sfogliandolo, La leggenda del Re Lupo non sembrava orribile come il primo volume, così gli ho concesso il beneficio del dubbio. Ma questo fumetto è come le ex: quando si è tentati di riavvicinarsi, bisogna ripetere a se stessi che c’era un fottuto motivo se eravate scappati urlando. Peccato che io non ci abbia pensato.

La leggenda del Re Lupo si apre con la caduta della Grande Muraglia, ovviamente a opera delle truppe di Iba/Gengis Khan. Notevole il duello in cui, per “temprarlo”, Iba combatte con il figlio Kublai in braccio: brutto idiota, ogni dieci pagine hai una crisi di panico all’idea che la Storia cambi e rischi la vita di Kublai Khan in questo modo? Allora sei deficiente (oltre che un pessimo padre). Non pago di ciò, Iba fa violenza alle inclinazioni naturali di Kublai (che vorrebbe diventare uno studioso) facendolo addestrare da Benkei, l’ex-braccio destro di Gengis Khan, affinché diventi un guerriero. Cosa che puntualmente avviene, ma in modo meno brusco di come accadde a Iba: Kublai piange e protesta, dimostrandosi un po’ più realistico e meglio caratterizzato rispetto a suo padre nel primo volume. Naturalmente, essendo anche lui un personaggio di Buronson, è in grado di compiere imprese impossibili di cui non viene data la minima spiegazione: la sua prima azione militare lo vede conquistare una fortezza con soli mille uomini. Non si sa bene come facciano lui e i suoi, senza macchine d’assedio, ad aprire una breccia nelle mura e a prendere una roccaforte che, a sentire Iba, ha resistito all’assedio di cinquemila Mongoli: o quegli altri erano mongoli in ben altro senso oppure Kublai buffa gli alleati con la sua aura di possanza (come i paladini di Diablo II). In ogni caso, Kublai e i suoi guerrieri conquistano la fortezza senza nemmeno che il Khan sapesse dell’attacco e, dunque, presumibilmente in pochissimo tempo; viene da chiedersi ancora una volta come, ma… lasciamo perdere.

In una cella della fortezza Kublai trova Rissho, un bambino giapponese destinato a diventare un santone, nonché il personaggio più inutile della storia del fumetto. Quando Benkei finisce in un’imboscata a un giorno di galoppo dall’accampamento dell’esercito, è Rissho a ideare lo stratagemma che salverà lui e i suoi uomini… e che è qualcosa di assolutamente idiota.

Preparate tutto l’esercito e i vari cavalli. Metà dei cavalli la mettete a trainare [dei grossi carri] e l’altra metà, insieme coi soldati, la raggruppate senza sella sui vari carri. Quando i cavalli che trainano saranno stanchi, li sostituirete con gli altri riposati! Proseguendo con questa alternanza, riuscirete a far correre i cavalli ininterrottamente non solo per mezza giornata, ma anche per un giorno intero!

Facepalm tattico: a volte un facepalm normale non rende l’idea

Il disegno della scena mostra enormi carri, che trasportano uomini e cavalli, trainati da pariglie di otto animali ciascuno. Ora, non so voi, ma io sono quantomento dubbioso sul fatto che si possa andare più svelti in questo modo: è vero che si possono alternare i cavalli al traino, ma è anche vero che questi devono tirare un peso enorme (diverse tonnellate, come minimo) e che, ipotizzando che ciascun Mongolo abbia almeno un cavallo di riserva, il tempo perso a staccare diecimila cavalli dal traino e a sostituirli con altri diecimila non deve essere poco. Nel fumetto, però, questa idea funziona. Mah!

Un bel giorno, Iba viene a conoscenza di una rivolta nello stato di Seika e va a reprimerla con il suo esercito. Peccato che giunto sul posto trovi… l’esercito cinese del XX secolo! A quanto pare, le famose nuvole a forma di lumacone hanno colpito ancora, trasportando un’interna armata (mezzi corazzati inclusi) nel 1227. Ovviamente i Mongoli vengono massacrati dalle armi moderne e sono costretti alla ritirata. A questo punto, qualunque idiota (e Iba, avendo contribuito a fondare un impero, dovrebbe essere un po’ più sveglio di così) farebbe due più due e se ne starebbe seduto ad aspettare che i carri armati finiscano la benzina (che i soldati non hanno gli strumenti per produrre), dopodiché ordinerebbe di sferrare attacchi mirati a distruggere le scorte di armi e munizioni (che i soldati non possono rimpiazzare, non esistendo ancora le fabbriche); secondo voi, Iba farà così?

Strategia: usate quella che vi sembra migliore anche se da un fastidio porco a tutti

No, ovviamente. Prima di tutto manda un messaggero al capo dei cinesi, inviando il messagio “La Storia non può cambiare”; il comandante (che i soldati chiamano “capitano”… i gradi militari cosa sono, una barzelletta?) risponde cannoneggiando l’intero drappello (perché sprecare munizioni così, sapendo che non se ne possono produrre altre? è idiozia pura!) e i comandanti dell’esercito mongolo, spaventati, decidono di passare al nemico. Iba propone loro un patto: se il suo piano non funzionerà, si consegnerà spontaneamente nelle loro mani.

In cosa consiste questo piano in cui Iba ripone tutta la sua fiducia, al punto da affidare la propria vita alla sua buona riuscita? Far sorvolare l’esercito cinese da acquiloni zavorrati con vesciche piene di petrolio, rompere queste ultime per inzuppare i nemici di liquido infiammabile e dar loro fuoco con frecce infuocate. Mai fu ideato un piano più cretino, eppure funziona: un esercito munito di armi moderne viene sconfitto da un pugno di arcieri che non dovrebbero nemmeno essere in grado di colpirli, perché i fucili d’assalto con cui sono equipaggiati (dall’aspetto si direbbero Kalashnikov) hanno una gittata diverse volte maggiore di quella degli archi; per non parlare dei carri armati distrutti dalle fiamme sprigionate da un sottile strato di petrolio… sigh!

Durante la battaglia Iba finge la propria morte, perché secondo la Storia Gengis Khan muore proprio nella battaglia di Seika, lasciando Kublai a governare il suo impero e tornandosene in giappone assieme a Rissho. Fine (grazie a Dio).

Alcune cose non finiscono mai; altre sì, per fortuna

Concludendo…

La leggenda del Re Lupo è, proprio come il suo predecessore, una presa per i fondelli. I lettori pagano per trovarsi di fronte a una trama che non sta in piedi, personaggi tutto sommato stereotipati e plot twist ridicoli oltre i limiti del vergognoso, per non parlare degli innumerevoli dettagli sbagliati. Se Il Re Lupo faceva schifo, il seguito è anche peggio. Una cosa fatta tanto male non ha senso di esistere: piuttosto che fare un fumetto storico pieno zeppo di errori, sopratutto se non si ha voglia di faticare, non sarebbe meglio fare una serie fantasy con solo una vaga ambientazione storica, tante donne discinte e la giusta dose di lesbiche? Perlomeno chi lo comprasse avrebbe speso i suoi soldi per qualcosa.

Se Buronson e Miura avessero fatto la versione manga di “Xena” sarebbe stato molto meglio

Da quel che so, non sono previste altre ristampe di “grandi classici”; spero sia veramente così, perché finora ci hanno venduto merda a prezzi troppo alti sfruttando una reputazione acquisita dagli autori solo successivamente alla produzione di questa robaccia. È disgustoso.

 
Lascia un commento

Pubblicato da su 25/05/2011 in Fumetti, Uncategorized

 

Tag: , , , , , , , ,

Webcomics time!

Fra una recensione e l’altra ho pensato di scrivere un piccolo articolo sui webcomic, cioè i fumetti pubblicati sul web. Un tempo ne leggevo moltissimi; poi ho smesso di seguirne alcuni, ma ce ne sono altri che mi piacciono troppo per abbandonarli. Ecco una breve carrellata. :)

Amazoness! racconta la storia del leggendario popolo delle Amazzoni, in particolare di Ess, la figlia della regina Ippolita… che è una nana senza alcuno spirito combattivo. È una commedia molto divertente, in cui le situazioni comiche sono rafforzate dal tratto dell’autore (le amazzoni sono tutte donnoni colossali con espressioni troppo ridicole per non riderci sopra); purtroppo è fermo da un pezzo. Si spera che riprenderà a breve.

Per gli amanti di Dungeons&dragons, Deficients&Dragons è un must: se credevate che i vostri personaggi fossero deficienti, non avete ancora visto questi. ^_^ Il disegno, fra l’altro, è ottimo e le battute quasi sempre all’altezza.

L’italianissimo Eriadan racconta storie di vita vissuta mescolate a filosofia cosmica e dibattiti nei Comitati Cerebrali. Da leggere assolutamente: ci sono strisce e vignette veramente geniali, ma anche quelle meno brillanti sono ottime.

Goblins ha una premessa interessante: conosciamo tutti il punto di vista degli eroi fantasy, ma com’è la storia vista da quello dei mostri? Infrangendo la quarta parete (i personaggi ragionano ad alta voce in termini di meccaniche di Dungeons&Dragons!) e mescolando in modo quasi perfetto comicità e tragedia, l’autore ha tratto da questa domanda un’opera straordinaria, fra le migliori del genere che io conosca. Consigliatissimo.

Keychain of Creation è ispirato anch’esso a un gioco di ruolo: questa volta si tratta di Exalted, il prodotto White Wolf in cui i protagonisti sono umani infusi di energie divine. Ovviamente, dallo stile del disegno potete intuire che anche qui il tono non è esattamente serio. :D Un webcomic molto leggero e divertente.

Simply Sarah è una commedia romantica con sfumature drammatiche. Racconta la storia dell’amore fra due ragazze, Sarah e Jane, osteggiato dal bigottismo della società e assediato dai mille problemi della vita quotidiana. Il tratto dell’autrice è un po’ scarno (anche se migliora sempre di più), ma guardabile; la storia è gestita molto bene, con episodi brevi e densi. I personaggi sono ben caratterizzati e molto interessanti. Una nota per i maschietti: ok, ci sono le lesbiche, ma questo fumetto non è un buon materiale masturbatorio, quindi se cercate porno soft evitatelo. ^_^

A proposito di lesbice: di carino c’è anche I was kidnapped by lesbian pirates from outer space!, che come potete intuire è un fumetto comico. ^_^ Non è malaccio (anche se dopo un po’ mi ricordo che aveva cominciato ad annoiarmi; dovrei riprenderlo in mano…), ma preferisco Simply Sarah.

Per chi ama League of Legends, Soraka Excellent Adventure è un must. Soraka è OP, niente da dire. :-/

The challenges of Zona è probabilmente il fumetto fantasy più originale che abbia mai letto. Prendete un uomo che, non si sa come, viaggia dal nostro mondo fino a una dimensione parallela; aggiungeteci donnoni muscolosi ma dal cuore d’oro, politica realistica, umanoidi mostruosi, omosessualità maschile esplicita (ma senza scene di sesso) e intrighi di ogni genere e vi sarete fatti una vaga idea delle situazioni immaginate dall’autore. Il tutto, sorprendentemente, non scade mai ed è sempre una bella lettura. :-D

The Dreamland Chronichles recupera un’idea piuttosto vecchia: quella di un giovane che, mentre dorme, vive avventure in un mondo fantastico. La trama è tutto sommato di impianto classico, ma ci sono alcuni spunti originali e parecchie scene sono davvero belle. Dateci un’occhiata.

Anche Wayfarer’s Moon è un fantasy, ma questa volta non c’è commedia: il tono è fra l’heroic e il low fantasy, complice il gioco delle differenze fra le due protagoniste (una ingenua e idealista, l’altra navigata e “dura”). Il disegno è interessante e la storia, che prometteva bene, finora non ha deluso.

Gli appassionati di Lovecraft, invece, troveranno un oscuro divertimento cosmico in The Unspeakable vault of Doom, probabilmente la migliore opera ispirata a quelle del “solitario di Providence”. Alcune strisce, come quelle che citano episodi di attualità, sono superbe.

Per fnire, c’è qualcosa che non è propriamente un webcomic (trattandosi di scansioni del cartaceo), ma è semplicemente imperdibile: Elfquest, un classico del fumetto fantasy ora disponibile gratuitamente online. Lettura assolutamente indispensabile per chiunque ami la fantasy ben scritta e, in questo caso, anche ben disegnata. Sono 6500 e rotte pagine, quindi consiglio di scaglionare la lettura. :D

Rileggendo quanto ho scritto, ho l’impressione di leggere un po’ troppi webcomic… O_o

 
Lascia un commento

Pubblicato da su 22/05/2011 in Fumetti, Uncategorized

 

Tag: , , , , ,

“Hokuto no Ken”: l’heroic fantasy di Buronson e Hara

In questi giorni sto scrivendo un racconto da postare sul blog. È un racconto fantasy, molto diverso dalla serie “Lo spettatore del 18 giugno”, e mi sta prendendo più tempo del previsto. Nel mentre, sto anche rileggendo Hokuto no Ken o, come lo conoscono i più, Ken il guerriero. È stato un pilastro della mia infanzia e, riprendendolo in mano, l’ho trovato fresco e piacevole come nessuna rilettura mi è mai sembrata: questo fumetto è talmente splendido da avermi strappato, in alcuni punti, qualche lacrima, anche se conoscevo benissimo la storia. L’ambientazione, i personaggi, le situazioni e i colpi di scena mi sono sembrati perfetti come la prima volta… ma mi sono reso conto di una cosa: quella dell’ultimo erede della Sacra Scuola di Hokuto è una storia fantasy!

Un numero del fumetto

Più precisamente, Ken il guerriero appartiene al genere heroic fantasy, di cui fanno parte anche Conan il barbaro ed Elric di Melniboné. Si tratta, nelle parole di Ron Edwards, di un genere “ineguagliabile per la sua miscela unica di eccitazione, aggressività, visionarietà, intensità, trasgressione e gioia” (dall’introduzione di Sorcerer&Sword). Heroic fantasy sono le epopee di eroi dalla personalità straordinaria, potenti ma fallibili, che non rispondono a nessuna autorità o convenzione e il cui unico vero interlocutore è il Destino: come Conan, Cyrion, Elric e Skafloc… e anche Kenshiro, Raoul, Toki, Rei, Shin e tutti gli altri protagonisti di Hokuto no Ken. Anche il mondo in cui si svolgono le storie ha tutte le caratteristiche delle ambientazione heroic fantasy: è un “tempo dei lupi” (Edwards), in cui abbondano le vestigia del passato e il futuro è incerto. Le arti marziali rappresentate nel fumetto possono essere considerate una forma di magia nella quale convinzione ed emotività non sono meno importanti delle doti fisiche di chi le pratica. Lo stesso personaggio del titolo, Kenshiro, sembra vittima di un destino che lo obbliga a essere sempre al centro di un qualche conflitto e a ricevere cicatrici nel corpo e nell’animo.

L’ambientazione

Dopo una lunga e accurata ricerca sulle fonti originali, Ron Edwards ha descritto l’archetipo dell’ambientazione heroic fantasy in questi termini:

  • è un ambientazione semi-storica con regni “ordinari” sovrapposta al Tempo che Fu, il quale include almeno una civiltà umana caduta;
  • confini, organi di governo e persino la tecnologia sono leggermente anacronistici, ovvero appropriati a epoche più familiari. L’ambientazione non ha un vero senso rispetto alla Storia registrata;
  • l’ambientazione non prevede leggi basate su principi, diritti civili o qualunque genere di “progresso”. A nessuno passa per l’anticamera del cervello di essere socialmente costruttivo;
  • la gente accetta distinzioni razziali politicamente molto scorrette; magari non fatte proprie dall’autore, ma date per scontate dai nativi. È un’epoca razzista. In modo simile, il sesso è discriminante e per le donne la vita è difficile, anche se, come nell’età Vittoriana, alcune trovano modi per aggirare il sistema;
  • non esistono specie umanoidi carine e simpatiche. Se esistono non-umani, di solito sono molto affini all’umanità oppure talmente mostruosi da essere considerabili demoni.

Il mitico Raoul, il più carismatico fra gli avversari di Kenshiro

Ora, proviamo a confrontare quanto detto sopra con il mondo di Ken il guerriero. Abbiamo:

  • una Terra postapocalittica in cui, avendo forza sufficiente, si possono fondare regni e persino imperi;
  • un mondo in cui la forza è l’unica legge e i più deboli devono soccombere;
  • un mondo in cui esistono persone tanto deformi da non sembrare nemmeno umane e individui dai poteri soprannaturali

Sembra la sintesi delle caratteristiche individuate da Edwards, no? Poco importa che invece di spade e stregonerie ci siano armi da fuoco (ma anche strumenti di morte più esotici, come i fucili spara-aghi, e bizzarrie come i motociclisti armati di lancia da cavaliere) e arti marziali fantastiche. La tecnologia e le forme assunte dal soprannaturale non sono discriminanti per identificare o meno un’ambientazione come heroic fantasy.

Il mondo di Hokuto no Ken è un posto terribile, dove si può morire in qualunque momento per il capriccio di un potente. A meno di non incrociare Kenshiro e ottenere il suo aiuto, nascere in un mondo del genere è una condanna alla sofferenza e a una vita breve. Ma è anche un mondo in cui la forza di un singolo può provocare grandi mutamenti e dove, pur dovendo morire, si può almeno fare in modo di non morire invano, come Ain (il cacciatore di taglie) verso la fine della seconda serie.

I personaggi

I protagonisti dell’heroic fantasy sono capolavori di egoncentrismo. Essi sono e hanno personalità talmente dirompenti da travolgere qualuque cosa si pari sulla loro strada. Non rappresentano altro che loro stessi, senza avere alcuna implicazione simbolica o morale, il che consente loro di essere umani e contraddittori come persone vere: per questo Raoul può sterminare un numero incalcolabile di persone indifese nella sua corsa al potere, piangere per la malattia di Toki, amare Giulia e, nei suoi ultimi momenti, alzare il pugno al cielo e fare la dichiarazione suprema: “Io non rinnego la mia vita!” Che non significa altro che Raoul è Raoul e che lui non si pentirà per far piacere a qualche moralista che lo vorrebbe redento. Raoul non ha fatto nulla da cui redimersi. Lo stesso vale per Shin, Souther e tutti gli altri avversari di Kenshiro: sebbene alcuni di loro possano essere chiamati “malvagi”, quasi tutti hanno personalità complesse e ottime ragioni per fare quello che hanno fatto.Ragioni che, in ultima analisi, sono perfettamente coerenti con il comportamento da loro mostrato e li rendono persone comprensibili, addirittura in grado di commuovere nonostante il lettore li abbia visti commettere atrocità d’ogni genere.

Souther, l’uomo che odiava l’amore, nell’interpretazione di Erik Von Lehmann (Deviantart)

Lo stesso Kenshiro, del resto, non aiuta i deboli in nome di chissà quale principio morale: lo fa semplicemente perché trova i malvagi spregevoli o perché le loro vittime lo colpiscono in qualche modo. Sono i sentimenti a guidare le sue azioni. Quando uccide lo fa con brutalità, a volte è addirittura crudele e raramente esita a farlo. Questo è coerente con il suo background: l’ultimo erede di una tecnica omicida millenaria non può essere un bonaccione.  Egli stesso si definisce più volte “un assassino”.

Un’altra caratteristica fondamentale dei personaggi heroic fantasy è che essi agiscono molto più di quanto non parlino o pensino. Questo non significa che siano rozzi o insensibili, ma che difficilmente il dubbio li paralizza: sono capaci di prendere una decisione in fretta, anche se ciò non implica che non riflettano prima di agire. Avete mai visto Kenshiro rimanere sorpreso per più di una vignetta? E Raoul?

I protagonisti di Hokuto no Ken mostrano le caratteristiche tipiche dei personaggi dell’heroic fantasy: sono uomini d’azione, guidati solo dai propri sentimenti.

La magia

Nell’heroic fantasy la magia è qualcosa di misterioso e terribile. Non è sfolgorante né bella a vedersi, ma questo non la rende meno potente o spaventosa. Per venirne in possesso non è sufficiente lo studio: occorre fare sacrifici e sottoscrivere patti con cose lontane dall’esperienza umana. Gli stregoni sono persone estranee al mondo dei mortali, più simili ai demoni loro alleati che agli esseri umani. Questa descrizione si applica perfettamente alle scuole di Hokuto e Nanto e ai loro praticanti.

Le arti marziali di Hokuto no Ken non sono arti di cui tutti possono impadronirsi. Occorre avere il sangue giusto, che sembra essere addirittura più importante dell’allenamento, e una volta entrate a far parte di una persona non possono essere dimenticate (come dimostra ciò che accade a Ken quando perde la memoria, verso la fine della quarta serie). Almeno nel caso dell’arte di Hokuto, per raggiungerne le vette occorre fare sacrifici crescenti, al punto che la tecnica finale può essere padroneggiata solo da coloro il cui animo ha toccato le vette del dolore. Infine, queste arti marziali richiedono una disposizione d’animo tale da segnare per sempre chi le pratica.

Oltre a tutto ciò, i maestri delle scuole di Ken il guerriero sembrano particolarmente sottomessi al destino. Nonostante siano i guerrieri più forti, ciascuno di loro ha un fato di cui sembra ben consapevole: per Kenshiro è quello  vagare eternamente per il mondo, per Raoul quello di scontrarsi con il fratello adottivo, per Toki quello di anteporre sempre il bene altrui al proprio. La loro abilità di combattenti, se da un lato li rende liberi, dall’altro li imprigiona.

Con la stregoneria dell’Era Hyboriana o dei Regni Giovani, le arti marziali di Hokuto no Ken hanno in comune anche la sensazione di terrore che suscitano in chi le osserva. Sono arti mortali che distruggono i corpi e, in alcuni casi, anche le menti. Non cè nulla di naturale o pulito nel modo in cui uccidono.

L’uomo con la pistola è Jagger, uno dei fratelli adottivi di Kenshiro

In conclusione, Ken il guerriero non è un fumetto postapocalittico o d’azione, ma un’opera heroic fantasy vera e propria. Sopratutto, è un’opera sempre giovane, che può essere riletta molte volte a distanza di anni senza perdere nulla: un vero classico, senza nessuna delle sfumature negative che possono connotare il termine. Hokuto no Ken non è il frutto di idee o tecniche ingenue o superate, come può essere un manga apparentemente simile quale Saint Seiya (che tutto è tranne che heroic fantasy), ma una vera e propria gemma nel panorama letterario internazionale. Con la sua ambientazione suggestiva, i personaggi completi e l’azione incessante, questo fumetto è un modello per tutti gli autori che vogliano occuparsi di fantasy in modo serio.

 
3 commenti

Pubblicato da su 26/04/2011 in Fumetti, Letteratura, Uncategorized

 

Tag: , , , , , , , , , , , , ,