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Oggi (finalmente) parliamo di Maria Teresa (parte 2)

Nel 1756, con la cosiddetta Rivoluzione Diplomatica, le alleanze in vigore fino all’epoca della Guerra di successione austriaca mutano radicalmente: l’Austria di Maria Teresa si avvicina alla Francia di Luigi XV con il Trattato di Versailles, mentre la Gran Bretagna, preoccupata per l’espandersi dell’influenza dei Borboni, trova un nuovo amico in Federico II di Prussia. Anche la Russia, la Svezia, la Danimarca e gli Stati tedeschi del Sacro Romano Impero sono vicini agli Asburgo. Forte di questi appoggi, Maria Teresa non ci pensa due volte a compiere un vero e proprio atto di provocazione militare, concentrando le truppe austriache sul confine fra Boemia e Slesia (che, ricordiamo, in quel momento era un possedimento prussiano). Federico reagisce invadendo la Sassonia e saccheggiandone il tesoro: è l’inizio della Guerra dei Sette Anni (1756-1763), il conflitto più terribile del 18° secolo, che si combatterà su campi di battaglia europei e americani e provocherà 1.300.000 morti fra tutti gli schieramenti. Il marito di Maria Teresa e suo figlio Giuseppe la consigliano di lasciar perdere, ma per una volta la sovrana non ascolta un buon consiglio e si lascia trasportare dal desiderio di rivalsa sul prussiano.

Anche in questo caso, della guerra vera e propria non parlerò, perché non è l’argomento principale dell’articolo. Basti sapere che, alla fine delle ostilità, per l’Austria non è cambiato quasi nulla in termini territoriali e l’unica “conquista” è l’appoggio di Federico per l’ascensione di Francesco Stefano di Lorena al trono del Sacro Romano Impero. Un conflitto sostanzialmente inutile, insomma, spinto sopratutto dalla rivalità fra Austria e Prussia per il controllo dell’Europa centrale. Elemento interessante è che, fin dall’inizio, la guerra si configura come lo sforzo di tre donne (Maria Teresa, l’amante di Luigi XV Madame de Pompadour e la zarina Elisabetta di Russia) per annientare il notoriamente misogino Federico II. Chissà cosa mi ricorda.

Le fazioni e i teatri della Guerra dei Sette Anni

Dopo la guerra, l’Austria è sull’orlo del collasso finanziario. Il Consiglio di Stato, un organo creato da Maria Teresa pochi anni prima e composto da ministri a cui era vietato ricoprire altre cariche, le prova tutte per racimolare denaro, compresa l’istituzione di una Lotteria di Stato. La sovrana reagisce alla crisi promuovendo l’iniziativa privata, abolendo i dazi doganali fra i Paesi che compongono il suo impero e sostenendo l’industrializzazione delle aree più ricche di risorse naturali. Fra tutti i suoi impegni, trova anche il tempo per promulgare nel 1766 un nuovo Codice Penale che, pur non abolendo la tortura e la pena di morte, definisce con chiarezza i diritti civili dei sudditi e costituisce un indubbio passo avanti rispetto alla legislazione precedente. Dieci anni dopo, anche la pena capitale sarà eliminata dall’ordinamento austriaco, sostituita (allegria!) coi lavori forzati a vita.

Diverse riforme di Maria Teresa riguardano la Lombardia, in particolare Milano: dal 1714 dominio asburgico, questa regione e la sua capitale sono piagate dalla corruzione e da un apparato amministrativo lento e inefficiente. Maria Teresa pone un freno a tutto questo, nominando governatore il fedele ministro Kaunitz e istituendo un ufficio governativo, il Dipartimento d’Italia, che assicura che tutte le decisioni relative a quei territori siano prese da Vienna e non passino per la corrotta aristocrazia lombarda. Trattandosi pur sempre di Italia, le riforme sono fortemente osteggiate dai ceti privilegiati e la loro applicazione lenta e ostacolata in ogni modo; ciò non impedisce, grazie anche all’opera di funzionari come il genovese Pallavicino e il varesotto Beltrame, che le terre di nobiltà e clero siano censite e tassate e che ai cittadini siano sostituiti, nelle cariche pubbliche, tecnici provenienti da altre province, più difficilmente corruttibili. Maria Teresa non si limita a purgare l’amministrazione: promuove l’agricoltura, istituendo concorsi e premi, e l’industria tessile. Pur essendo, come già ricordato, una cattolica fervente, la sovrana sopprime gli ordini religiosi inutili alla società (quelli dediti esclusivamente alla contemplazione e alla preghiera), destinando i loro beni a ospedali e opere assistenziali statali, e obbliga gli altri a tenere registri contabili. Anche la scuola è riformata, con l’istituzione di esami di Stato per gli studendi e di un’abilitazione per i maestri; i bambini dai sei ai dodici anni avranno diritto a un’istruzione gratuita. Nel 1776 l’imperatrice istituisce con un decreto l’Accademia di Brera. Mescolate a queste ci sono alcune altre riforme abbastanza bizzarre, come il divieto per il popolo di giocare a carte o a bocce (!!!) e il bando delle uniformi militari dalle occasioni mondane come i balli e le feste, ma nel complesso si tratta di un impianto solido ed epocale.

Purtroppo, in famiglia Maria Teresa prende un’ulteriore decisione scellerata facendo sposare nel 1760 il primogenito Giuseppe a Isabella di Borbone-Parma, nipote del re di Francia. Al cinico figlio dell’imperatrice, noto per essere insensibile al fascino femminile, viene imposta una sposa dolce, sognatrice e ingenua, molto fragile di carattere e, cosa che emergerà solo dopo la sua triste fine, omosessuale. È una ricetta per il disastro, ma l’imperatrice non vede altro che un’opportunità politica. La povera Isabella, per anni respinta dal marito che non è capace di amarla e che lei stessa non può amare come una moglie, terrorizzata dagli intrighi e dal viscidume della vita di corte, si innamora della cognata Maria Elisabetta, bella e colta, a cui scrive centinaia di lettere d’amore e manda centinaia di doni; l’oggetto del suo desiderio, per ragioni di convenienza e di inclinazioni sessuali non compatibili, la ignora. Il tormento di Isabella, strattonata dai propri sentimenti e dal senso del dovere nei confronti del marito, ha vita breve: nella notte tra il 18 e il 19 novembre 1764, ella muore per un attacco di tisi. Poco dopo Maria Elisabetta fa recapitare al fratello Giuseppe un pacco contenente tutti i doni e le lettere scrittele dalla moglie defunta. Giuseppe è distrutto: si è reso conto troppo tardi di amare veramente Isabella e solo ora capisce ciò che lei ha patito. Ma ormai sua moglie non c’è più e, per la prima volta, il successore di Maria Teresa si sente solo.

Un ritratto del giovane Giuseppe

Essendo Giuseppe l’erede al trono, Maria Teresa lo obbliga a risposarsi con un’altra donna da lei scelta: Giuseppa di Baviera, un nome che sembra uno scherzo del destino. L’aspetto della sposa disgusta Giuseppe, che rifiuta di consumare il matrimonio e ordina la costruzione di un divisorio fra le loro stanze da letto nel palazzo di Schonbrunn.

Il 17 agosto 1765, sei mesi dopo il matrimonio del primogenito, Francesco Stefano di Lorena muore improvvisamente durante uno spettacolo teatrale. È una fine annunciata: il marito di Maria Teresa aveva sempre amato mangiare e bere molto e ormai era talmente obeso che i suoi medici gli avevano raccomandanto di perdere almeno metà del suo peso se non voleva rischiare la vita; consiglio che l’uomo aveva assolutamente ignorato. Maria Teresa si fa radere completamente i capelli in segno di lutto e, da questo momento fino alla morte, indosserà solo abiti scuri. I suoi appartamenti saranno d’ora in avanti tappezzati di nero, gli specchi coperti da stoffe dello stesso colore, e non indosserà più gioielli. Talmente grande è il suo strazio che Maria Teresa si firmerà d’ora in poi con una locuzione destinata a passare alla Storia: “la regina vedova.”

Senza Francesco Stefano a fare da paciere fra i due, i contrasti fra Maria Teresa e il figlio Giuseppe si fanno più intensi che mai. Giuseppe odia la madre per l’educazione rigidissima che gli ha impartito (comprendente anche le frustate), per il suo bigottismo e la sua (relativa) ignoranza; Maria Teresa non tollera che il figlio voglia mettere becco negli affari di Stato, pur essendo divenuto co-reggente dopo la morte del padre, e che non faccia mistero di ammirare il suo nemico di sempre: Federico II di Prussia, colto e crudele, amico di quel Voltaire che Giuseppe tanto ammira e che disgusta Maria Teresa per la sua misoginia e le sue teorie politiche. L’imperatrice e suo figlio non mangiano più assieme e non si parlano quasi più. A quarantotto anni e vedova, Maria Teresa non è più la donna di un tempo e Giuseppe disprezza quello che è diventata: debole, stanca, arrendevole. E tuttavia, quando il vaiolo la colpisce e i suoi medici arrivano a temere per la vita della sovrana, il figlio le è accanto tenendole la mano, dimostrando una insospettabile abnegazione. L’imperatrice sopravvive, ma la malattia assesta un ulteriore colpo al suo animo già provato, assieme alla notizia (mai verificata) che il marito tanto amato avrebbe generato una figlia illegittima con un’amante.

Nel 1766 cominciano le trattative fra Maria Teresa e Luigi XV per il matrimonio del nipote del re, il futuro Luigi XVI, e Maria Antonietta, la penultima figlia della regina. A undici anni la ragazzina (come chiunque abbia letto Le rose di Versailles ben sa) è praticamente analfabeta e parla il francese malissimo; la sua educazione è affrettata in vista del matrimonio regale e basata, ancora una volta, esclusivamente sulle arti e le virtù appropriate a una giovane di famiglia reale. Niente politica, niente economia, nulla che potrebbe essere utile alla futura regina: quando Antonietta, nel 1770, abbandonerà il sobrio palazzo di Schunbrunn per la sfarzosa reggia di Versailles, farà presto a dimenticare le raccomandazioni materne per sommergersi di un lusso che farà scandalo presso il popolo e sarà una delle cause scatenanti la Rivoluzione francese.

Maria Teresa nel 1762, a 45 anni

Nel 1772, in seguito a una trattativa condotta direttamente da Giuseppe, la Polonia è smembrata e spartita fra Austria, Prussia e Russia. Maria Teresa non ha il coraggio di presenziare alla firma del trattato, che considera un atto vergognoso, ma non è stata in grado di opporsi alla volontà del figlio né di contrastare l’ascendente del re di Prussia su di lui. Nel 1776, alla morte del re di Baviera, fra Austria e Prussia scoppia una guerra per la successione e Giuseppe, contro il volere della madre, si unisce all’esercito austriaco e lo porta in Boemia; pur non essendoci battaglia, la situazione è tesissima. Sapendo che Francia, Inghilterra e Russia non tollereranno un’espanzione del già debordante impero degli Asburgo e volendo evitare a tutti i costi una nuova Guerra dei Sette Anni, Maria Teresa intraprende un carteggio segreto con Federico per giungere alla pace, che sarà firmata il 13 maggio 1779 a Teschen, in Boemia. L’Austria ne esce umiliata come mai prima. Giuseppe non perdonerà mai la madre per averlo scavalcato. E lei confessa al fidato ministro Kaunitz: «Oggi ho finito la mia carriera.» Non ha più voglia di fare nulla, neppure vivere.

Il 1780 è l’anno del decadimento fisico e spirituale della sovrana. Non cammina quasi più e ha perso ogni interesse nel teatro, che un tempo era stato il suo grande amore. Le mani le tremano continuamente, al punto che teme di perderne l’uso. Il 18 novembre comincia ad accusare forti difficoltà respiratorie, che le impediscono di sdraiarsi. Di fronte alla preoccupazione dei familiari, Giuseppe nega testardamente l’evidenza: «Impossibile. La mamma non muore.» Ma il 26 Maria Teresa lo convoca nelle sue stanze e gli impone, in qualità di erede, di rimanerle accanto. Nei giorni successivi la regina soffre di crisi gravissime e pare continuamente a un passo dalla morte.

Il 29 novembre è il suo ultimo giorno. Giuseppe allontana tutti, tranne un medico e le infermiere, e rimane accanto alla madre morente, ancora incapace di credere a quanto sta accadendo. Alle nove di sera Maria Teresa cerca di alzarsi dalla poltrona su cui è ormai costretta, ma finisce per accasciarsi contro un muro. Giuseppe la solleva e la aiuta a sdraiarsi. «Non siete comoda, madre» sono le uniche parole che riesce a dire. «Anche troppo, per morire» sono le ultime parole di Maria Teresa.

La fonte principale di questi articoli è il saggio Maria Teresa. Una donna al potere di Edgarda Ferri (Mondadori, Milano, 1994). Wikipedia e alcuni saggi trovati sulla Rete (non ricordo i titoli, ma è sufficiente cercare “Maria Teresa”, “Federico II” e “Giuseppe II” per trovarne una marea) hanno fornito qualche elemento aggiuntivo.

 
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Pubblicato da su 17/04/2011 in Storia, Uncategorized

 

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The Minstrel Boy

Ho scoperto da poco l’esistenza di The Minstrel Boy (Il giovane menestrello), una canzone scritta tra gli ultimissimi anni del ‘700 e i primi dell’800 dal poeta irlandese Thomas Moore. Si pensa che la canzone si riferisca ad alcuni amici dell’autore, rimasti coinvolti (in alcuni casi anche mortalmente) nella ribellione irlandese del 1798.

Il testo della canzone è questo:

The minstrel boy to the war is gone,
In the ranks of death ye will find him;
His father’s sword he hath girded on,
And his wild harp slung behind him;
“Land of Song!” said the warrior bard,
“Tho’ all the world betray thee,
One sword, at least, thy rights shall guard,
One faithful harp shall praise thee!”

The Minstrel fell! But the foeman’s chain
Could not bring his proud soul under;
The harp he lov’d ne’er spoke again,
For he tore its chords asunder;
And said “No chains shall sully thee,
Thou soul of love and bravery!
Thy songs were made for the pure and free
They shall never sound in slavery!”

Gli ultimi due versi, in particolare, mi piacciono molto: esprimono il rifiuto di svendersi all’invasore straniero, negandogli tutte le gioie che la propria cultura può offrire. Piuttosto che cantare da schiavi per i nostri padroni, è il messaggio del poeta, noi Irlandesi non canteremo affatto. Mi hanno fatto pensare al turismo nelle riserve indiane o in altre zone “etnograficamente fiche” del pianeta (inclusa la vicina Sardegna), dove i turisti gonzi si fanno abbindolare da sfoggi di qualcosa che non ha nulla a che vedere con la vera cultura popolare… ma ha molto a che vedere con la cultura del capitalismo, dove le cose contano solo se producono denaro che si può immediatamente acquisire e contare fra le proprie sudate ditina.

Il fenomeno del “turismo etnografico” (lo chiamo così in mancanza di un’espressione migliore; questa, ovviamente, non ha alcun valore scientifico) avrebbe probabilmente fatto rabbrividire Moore, ma se assumiamo il punto di vista dei popoli visitati possiamo vederlo sotto un’altra luce: esso può essere considerato una forma di vendetta di gente che ha visto le proprie tradizioni schiacciate, stuprate dalla propaganda e dal lavaggio del cervello fatto alle nuove generazioni dall’invazione del capitalismo. Questa gente non rifiuta di cantare, ma lo fa in modo stonato, così da tenere per sé la vera bellezza dei propri canti e nel contempo privare gli invasori del loro denaro. Non male come strategia, no?

 
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Pubblicato da su 22/11/2010 in Rant, Storia

 

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Sharpe e la Marcia dei disertori

Qualche tempo fa ho scovato su YouTube il canale di un simpatico amante di musica folk che vive sull’Isola di Man. Oltre a postare le sue versioni di canzoni in lingua inglese, Tony (questo è il suo nome) esegue anche brani su richiesta, così gli ho chiesto di cantare per me The Rogue’s March e questo è il risultato:

Vi consiglio di seguire il canale di quest’uomo: le sue esecuzioni sono molto belle. ^_^

The Rogue’s March è una canzone molto particolare, cantata nell’esercito inglese fra il Sette e l’Ottocento. L’ho sentita per la prima volta in Sharpe’s Gold, il sesto episodio della serie Tv inglese Sharpe, ispirata ai romanzi di Bernard Cornwell con protagonista il personaggio del titolo. Non ho mai letto i libri (grave mancanza, visto che di Cornwell avevo letto il ciclo di Excalibur e a memoria mi pare non scrivesse affatto male) ma la serie televisiva mi è piaciuta, nonostante una quantità di errori e difetti a dir poco mostruosa.

Sean Bean nella parte di Sharpe

La serie è ambientata in Spagna durante le guerre napoleoniche, fra il 1809 e il 1814, più un episodio che si svolge durante la battaglia di Waterloo (ignoro gli ultimi due, ambientati in India, perché sono qualcosa di penoso, fatti male e noiosi). Richard Sharpe, il personaggio principale, è un soldato coraggioso e abile che grazie alle proprie capacità scala la gerarchia militare, partendo da sergente e raggiungendo il grado di tenente colonnello: qualcosa di impensabile per l’epoca, come gli autori non mancano di sottolineare anche troppo. Il personaggio è ben caratterizzato: certo, è il protagonista e quindi bene o male vince sempre, ma Sean Bean è bravo a renderne evidenti i difetti caratteriali, ossia la testardaggine e la mancanza di controllo sulle proprie emozioni. Più di una volta Sharpe manca in vacca qualcosa di importante perché non si è fermato a riflettere. Peccato che gli autori (o forse lo stesso Cornwell, ma conoscendolo la cosa mi parrebbe strana) non abbiano saputo evitare di farne un eroe virilixximo alla Hercules, che cambia una donna a ogni episodio (la prima dura un po’ più delle altre, ma un nemico di Sharpe la fa fuori): va bene il wish fullfillment, ma credo che veder sparare addosso ai Francesi tutto il tempo sia sufficiente, no? E va bene, prima e ultima battuta razzista sui nostri vicini d’Oltralpe. ^_^

Anche se Sharpe è indubbiamente il protagonista, attorno a lui ruota un cast fisso di personaggi che, seppure in parte oscurati dalla sua presenza scenica, sono comunque degni di nota. Il gruppo più importante è quello dei Soldati Scelti (Chosen Men), tutti provenienti dalle fila dei fucilieri e quasi tutti presenti in ogni episodio. Ognuno di loro è sui generis, ma  non sono delle macchiette: gli attori sono bravi e non scadono nella caricatura, aiutati anche dal fatto che gli archetipi incarnati nei Soldati Scelti sono fuori dagli schemi tradizionali televisivi (non ci sono “quello grosso” e “quello bello e un po’ gay”, per esempio, ma Hagman, magrolino e pacato nonché buon cantante, e Harris, l’unico del gruppo a essere istruito). Ci sono poi i vari ufficiali dell’esercito di Wellington, nonché Wellington stesso, alcuni dei quali compaiono in diversi episodi; la mia impressione è che questi personaggi siano un po’ meno interessanti, forse perché avendo meno visibilità sono stati rappresentati in modo più “caricato” e quindi meno sfacettato e realistico (il capitano Leroy, di origini americane, fuma il sigaro e commercia in schiavi; Henry Simmerson, anziano aristocratico, è arrogante e folle oltre ogni speranza). I personaggi femminili sono le classiche donne televisive che, a parte cadere fra le braccia dell’eroe, fanno poco altro, ma ci sono eccezioni notevoli: Teresa Moreno, una guerrillera in grado di combattere al fianco di Sharpe (nonché unica donna con cui lui avrà un figlio), e Jane Gibbons, la sua ultima moglie, personaggio ambiguo nei limiti del possibile (parliamo di una serie Tv indirizzata al grande pubblico, quindi non può esserci nulla di troppo complicato).

Sharpe e i Soldati Scelti al completo: da sinistra Harris, Hagman, Cooper, Perkins, Harper e Tongue

Il vero problema di Sharpe sono le battaglie: il budget della serie non era molto alto, quindi han dovuto risparmiare sulle comparse e sulla computer grafic (peraltro, essendo i primi episodi dell’inizio degli anni Novanta, dubito che anche con un budget alto avrebbero potuto fare granché con la cg). Le inquadrature sono sempre relativamente ristrette, per non far vedere che oltre ai trenta-quaranta uomini inquadrati non c’è nessuno, e questo pesa molto in una serie ambientata durante una guerra: non ci sono riprese dall’alto o campi lunghi, così lo spettatore non riesce a farsi un’idea di come doveva apparire una battaglia napoleonica. Per fortuna la regia riesce a dare l’idea di come ci si sentisse a prender parte a una di queste battaglie: le cannonate che piovono dappertutto, la gente che ti cade accanto colpita da un proiettile, la follia apparente di marciare stretti in fila sotto il fuoco nemico. Da questo punto di vista, Sharpe è fatto bene. Anche le uniformi, per quanto ne capisco, mi sembrano ben riprodotte. Un po’ meno accurata è la ricostruzione delle armi: i personaggi principali sono tutti fucilieri, ma a guardarli sembra che non ci sia differenza fra un fucile e un moschetto, nonostante in più di un’occasione Sharpe insista sul contrario. La differenza c’è, come sa chiunque abbia conoscenze anche minime di oplologia: un fucile è molto più preciso, ma anche dannatamente lento da ricaricare. In Sharpe, invece, sembra che fucili e moschetti si ricarichino esattamente allo stesso modo, il che è una grandissima castroneria. Probabilmente si tratta di una scelta di autori e/o registi per non tediare gli spettatori con la lentissima procedura di ricarica di un fucile Baker (peraltro, dopo i primi episodi non si vedono quasi mai i fucilieri caricare le loro armi; che siano stati sommersi da mail di segnalazione? lol!), tanto è vero che altri aspetti dell’uso dell’arma, come quello di clava, sono riprodotti fedelmente (che c’è di strano? il calcio delle armi da fuoco dell’epoca era bello pesante, in modo che potesse essere usato come arma quando il nemico era vicino e non vi faceva la cortesia di lasciarvi mezzo minuto per ricaricare il fucile).

Detto questo, potreste chiedervi, perché Sharpe mi è piaciuto? In primo luogo perché è un bel tentativo, non del tutto riuscito, ma in cui si intravede un sacco di buono. In secondo luogo perché, se si è un po’ meno history fags e lo si guarda tanto per svagarsi con un po’ di sana avventura, Sharpe è molto soddisfacente. Infine perché ci sono bravi attori e la base, anche se non sempre seguita fedelmente, sono i romanzi di un grande scrittore come Cornwell, dal quale si può sempre trarre qualcosa di buono.

Chiudo l’articolo con un altro video. Questo geniaccio ha montato alcuni spezzoni di Sharpe’s Battle e I’ll Make a Man Out of You (da Mulan, il film Disney); il risultato è sorprendentemente carino. :D

 
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Pubblicato da su 13/11/2010 in Storia, TV

 

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Oggi parliamo di Maria Teresa (parte 1)

Siccome qualche giorno fa questo personaggio storico è emerso in una discussione su Facebook, ho pensato di dedicarle un piccolo articolo… che adesso, dopo averlo scritto, non è poi tanto piccolo, lol.

Ci lavoro su un po’ ogni giorno, ma visto che è già piuttosto lungo ne pubblico adesso la prima parte. La seconda arriverà a breve.

Maria Teresa Walburga Amalia Cristina d’Asburgo (di solito abbreviato in Maria Teresa d’Austria), nata il 13 maggio 1717, era la figlia maggiore di Carlo VI, imperatore d’Austria dal 1711 al 1740, il quale succedette al fratello Giuseppe a ben ventotto anni e senza avere generato un figlio in cinque anni di matrimonio. In base alla legge sulla successione austriaca (la legge salica, applicata dalla maggior parte delle monarchie assolute) le donne non potevano ereditare il trono, ma con un editto il vecchio imperatore Leopoldo aveva stabilito che nel caso in cui né Carlo né Giuseppe avessero generato un erede (la situazione nel 1711, visto che Carlo era senza figli e Giuseppe aveva lasciato solo una figlia) la successione sarebbe toccata alla figlia maggiore di Giuseppe, scavalcando in questo modo le figlie di Carlo. Comprensibilmente Carlo, che in un’epoca in cui la speranza di vita era intorno ai quarant’anni poteva considerarsi un uomo di mezza età, non era proprio sereno al momento dell’ascesa al trono.

Carlo VI

Due anni dopo, nel 1713, non c’era ancora un nuovo nato nella culla e Carlo si mangiava le mani all’idea che il trono e i vari possedimenti degli Asburgo (il cui impero, enorme e molto frammentato, era basato sulla concentrazione di numerosi titoli e sovranità nella persona del monarca) sarebbero passati alla nipote dopo la sua morte. Allora decise che, dopotutto, l’imperatore era lui e poteva anche fregarsene di quanto aveva stabilito la vecchia mummia di suo padre. Il 19 settembre 1713 Carlo VI promulgò la Prammatica Sanzione, un atto in base al quale, in caso di successione femminile forzata, la sua eventuale figlia maggiore sarebbe stata considerata alla stregua di un maschio. L’editto dell’imperatore Leopoldo era di fatto reso carta straccia da questo atto, che suscitò numerose polemiche e avrebbe posto le basi, ventisette anni dopo, della guerra di successione austriaca (ma di questo ci sarà tempo per parlare in futuro).

Quattro anni dopo la Prammatica Sanzione nacque Maria Teresa. Oltre a lei Carlo VI avrebbe avuto solo un’altra figlia, Maria Anna, nel 1718. La giovane Maria Teresa era bella e vivace, amava il teatro e il melodramma, non riusciva a stare ferma ed era benvoluta da tutti. Purtroppo l’imperatore, nonostante tutto, viveva nella speranza di avere un figlio maschio e non diede alla sua potenziale erede alcuna educazione politica: Maria Teresa crebbe imparando il canto, la danza e la poesia, ma non imparando a governare. Questa miopia si spiega col fatto che Carlo era cresciuto in Spagna, alla cui corte i costumi erano rigidi e molto bigotti: l’idea che a una donna si potesse insegnare a gestire un impero (o, in effetti, qualunque altra cosa “da uomini”) gli era probabilmente del tutto aliena.

Maria Teresa a undici anni

Carlo VI era un uomo frustrato, cupo e nervoso. Sotto il suo governo l’impero non prosperava: le casse dello Stato erano vuote, la situazione sanitaria disastrosa, le tasse alte e il popolo scontento. Maria Teresa cominciò ad assistere fin dai quattordici anni alle sedute del Consiglio imperiale, prendendo appunti in silenzio e supplendo con la propria intelligenza alla mancanza di attenzioni da parte del padre: imparò sopratutto che un sovrano deve ascoltare i propri consiglieri, in particolare quando questi ne sanno più di lui. L’orgoglioso e autocratico Carlo voleva prendere tutte le decisioni da solo e non sopportava interferenze, il che lo portò a una serie di scelte disastrose come l’entrata in guerra a fianco della Russia contro l’Impero Ottomano nel 1737: una guerra durata due anni, teatro di una serie di sconfitte pesantissime per l’Austria, sconfitte dovute anche e sopratutto alla totale imbecillità delle decisioni dell’imperatore che mise al comando l’inesperto e inetto genero Francesco Stefano di Lorena, il marito di Maria Teresa. A proposito di costui, dico solo due cose: aveva nove anni più della moglie, che aveva sposato nel ’36 quando lei ne aveva diciannove, e il matrimonio gli era costato la regione che dava il nome al suo casato. Il solito Carlo VI aveva infatti perso, tra le altre, anche la guerra contro la Francia per la corona di Polonia e Luigi XV, all’epoca re di Francia, aveva chiesto nelle condizioni di pace che alla Francia fosse ceduta la Lorena, regione piccola ma in posizione strategica. L’imperatore mise Francesco Stefano di fronte a un ultimatum: niente cessione, niente matrimonio. Attirandosi l’odio di madre e fratello, Francesco Stefano scelse il matrimonio (e chiamatelo scemo: una regione piccola come la Lorena in cambio dei domini asburgici!). L’amore di Maria Teresa per Francesco Stefano era fortissimo, ma la fedeltà di quest’ultimo non era altrettanto forte: avrebbe avuto diverse amanti.

Nel 1740 Carlo VI morì. Maria Teresa aveva ventitre anni, era l’erede, ma non sapeva nulla di come si governava uno Stato. Per di più,  al momento della successione era incinta di quattro mesi. Il padre le aveva lasciato un Paese in ginocchio, con le casse praticamente vuote, l’esercito ridotto ai minimi termini per numero di uomini e morale, il popolo affamato e sfiduciato. Non solo, ma morto Carlo VI in molti avevano cominciato a dubitare apertamente della validità della Prammatica Sanzione; fra questi Carlo Alberto, elettore di Baviera (gli elettori erano i principi del Sacro Romano Impero con diritto di voto nell’elezione degli imperatori). Il peso sulle spalle della sovrana era enorme, ma la sua forza di volontò era fortissima: esigette e ottenne il rispetto di ministri e cortigiani dimostrando sicurezza, talento e volontà di imparare quello che le era stato negato. Maria Teresa non si pianse addosso, ma si rimboccò le maniche e cominciò a passare le sue notti leggendo relazioni e le giornate occupandosi degli affari di Stato. La frase che meglio riassume il suo atteggiamento davanti alle perplessità dei conservatori (cioè praticamente di tutti) è: “Io sono soltanto una regina. Ma ho il cuore di un re.” Fece travestire una sua dama di compagnia, la contessa von Frizt, da popolana, in modo che potesse mescolarsi ai sudditi più umili e riferirle le loro lamentele; proprio in seguito a queste ultime, per placare almeno in parte il malcontento della sua gente fece sterminare gli animali delle riserve da caccia reali, negandosi uno dei più iconici privilegi dell’aristocrazia. Sopratutto, si circondò di consiglieri competenti e onesti e ascoltò sempre i loro pareri.

Un ritratto di Maria Teresa eseguito quando lei aveva ventisette anni. L'imperatrice amava il teatro e lo patrocinò molto.

Se in Austria il rispetto per una regina regnante stentava a prender piede, per quanto riguarda la politica estera le cose andavano ancora peggio. Le grandi potenze europee guardavano all’Austria in crisi come a una preda ambita, sopratutto visto che a governarla era una giovane donna di appena ventitre anni. In particolare Federico II di Prussia, re di uno Stato piccolo ma fortemente militarizzato, scelse proprio questo momento per avanzare pretese sulla Slesia, una regione ricca di minerali grezzi situata vicino al confine fra Prussia e Austria. Federico aveva ventotto anni, appena cinque in più di Maria Teresa, e come lei era appena asceso al trono;  tempo prima Carlo VI lo aveva preso in considerazione come possibile marito per la figlia, ma suo padre Federico Guglielmo aveva rifiutato il matrimonio combinato. Maria Teresa e Federico sarebbero divenuti nemici per la vita, ma il re di Prussia era un uomo intelligente e ben presto cominciò a provare un celato rispetto per l’avversaria austriaca.

Federico II di Prussia, detto "il Grande", unico sovrano prussiano ad aver ricevuto questo soprannome

Federico si presentò dapprima come un amico e un alleato volenteroso, ma a Maria Teresa fu subito chiaro che si trattava di un politico astuto e subdolo. Non ricevette personalmente il suo ambasciatore: gli fece incontrare il marito, mentre lei, violando l’etichetta, stava nella stanza accanto, ben attenta a fare abbastanza rumore da rendere chiara la sua presenza.  Con pochi giri di parole, l’ambasciatore le offrì l’elezione di Francesco Stefano al trono del Sacro Romano Impero in cambio della cessione pacifica della Slesia, nonché l’appoggio della Prussia contro chi giudicava invalida la sua successione. La carica di Sacro Romano Imperatore aveva ormai perso gran parte del proprio valore, ma il suo prestigio era ancora immenso e, dettaglio non da poco, chi la ricopriva aveva il diritto di reclutare soldati nei vari Stati che componevano l’Impero. Maria Teresa non aveva potuto ereditarla in quanto essa era appunto elettiva e, in ogni caso, le donne ne erano escluse; vederla assegnata al marito sarebbe stata una soddisfazione non da poco per lei, sopratutto visto che Francesco Stefano era tenuto in scarsa considerazione dai sudditi, e le avrebbe conferito un grande peso politico. Ma per lei uno scambio del genere era inaccettabile: la carica di Sacro Romano Imperatore apparteneva agli Asburgo da secoli e Maria Teresa non intendeva certo “comprarla” cedendo parte dei suoi territori! L’ambasciatore di Prussia fu cacciato con poca cortesia; tornò a dicembre, avvisando gentilmente la sovrana che mentre loro due si parlavano l’esercito prussiano era già entrato in Slesia. Maria Teresa aveva visto giusto, e così i suoi consiglieri: al re di Prussia importava poco di come avrebbe ottenuto la Slesia, bastava che gliela strappasse.

L’invasione prussiana della Slesia diede inizio alla Guerra di successione austriaca, che si sarebbe protratta a fasi alterne fino al 1748. Il primo periodo delle ostilità vide una serie di sconfitte anche gravi per l’Austria, che combatteva da sola contro le forze alleate di Prussia, Francia Baviera e altri principati (l’Inghilterra si era inizialmente dichiarata a favore di Maria Teresa, ma il suo aiuto si limitò a una somma di denaro versata all’inizio del conflitto).  Maria Teresa fu costretta a cercare l’appoggio dell’Ungheria, regno di cui gli Asburgo possedevano la corona, ma che non aveva mai amato il dominio austriaco e sino a quel momento aveva contribuito al conflitto in modo marginale. Con i nobili ungheresi Maria Teresa adottò un atteggiamento umile, ma saldo, esprimendosi alla loro Dieta nella la loro lingua (e non in tedesco, come erano soliti fare gli Asburgo), non esigendo, ma chiedendo. Gli ungheresi, accecati dal suo carisma e dalla sua bellezza, la incoronarono re: re, e non regina, perché anche loro non avevano in simpatia Francesco Stefano e non lo volevano come principe consorte. Abituati a sovrani autoritari come il fu Carlo VI, gli ungheresi furono conquistati dalla nuova regina, fiera e insieme modesta, e arrivarono a fornirle centomila soldati. Ma anche i militari austriaci di altre nazionalità e persino i governi stranieri, come quello britannico, rimasero impressionati dal modo in cui Maria Teresa conduceva la guerra: gli inglesi le diedero il soprannome di “Giovanna d’Arco del Danubio“. Per non tediarvi con i dettagli delle vicende militari, salterò alla conclusione: nel 1748 il tutto avrà termine con la cessione definitiva della Slesia alla Prussia e il riconoscimento della successione di Maria Teresa. Il conflitto provocò oltre trecentomila morti, non moltissimi per una guerra durata otto anni (la Guerra dei Sette Anni del 1755-63 ne farà circa 1.300.000). Nonostante il ritorno allo status quo ante e la perdita di un territorio, la guerra può essere considerata un grande successo per l’Austria e per Maria Teresa: Federico II di Prussia aveva a sua disposizione il migliore esercito al mondo ed era appoggiato dalla potentissima Francia, mentre l’Austria combatteva da sola. La vittoria fu dovuta, oltre che alle straordinarie abilità comunicative e motivazionali di Maria Teresa, anche e sopratutto alla sua abilità nello scegliere i comandanti e i consiglieri militari migliori, indipendentemente dalla loro reputazione a corte.

L'incoronazione di Maria Teresa a re d'Ungheria

Dopo la fine della guerra, Maria Teresa inagurò le sue prime riforme. Nonostante la gradualità della loro messa in atto, si trattava per l’epoca di vere e proprie rivoluzioni. La sovrana tassò le terre di nobiltà e clero, anche se in modo più leggero rispetto a quelle dei contadini. Un altra grande riforma fu quella dell’esercito, che la regina attuò contrastando la corruzione e il clientelismo, ordinando la scrittura di manuali per uniformare le conoscenze strategiche e tattiche, fondando Accademie militari per preparare meglio gli ufficiali e incrementando il numero dei soldati. Riguardo quest’ultima riforma, lo stesso Federico scrisse parole di ammirazione nel proprio diario personale.

Sul fronte della giustizia Maria Teresa aumentò le garanzie dividendo il potere giudiziario da quello politico. Istituì inoltre scuole elementari gratuite per tutti, migliorò l’assistenza sanitaria, creò asili per gli orfani e le prostitute e incentivò la produzione nazionale di beni tradizionalmente importati dall’estero.

In famiglia Maria Teresa non fu altrettanto lungimirante. Pur avendo reso ben chiaro a tutti fin dall’inizio che era lei, e non il marito Francesco Stefano, a portare la corona, era una sostenitrice dell’obbedienza delle mogli ai mariti e tollerava le numerose amanti dello sposo, sebbene ciò la facesse soffrire non poco (assieme alla consapevolezza che, dopo cinque parti, il suo fisico si era sformato e non era più la bellezza di un tempo). Avendo avuto, a differenza del padre, un figlio maschio piuttosto presto (il futuro imperatore Giuseppe II), Maria Teresa fece lo stesso errore di Carlo VI: diede alle numerose figlie un’educazione tradizionale aristocratica, incentrata sulle virtù di una brava moglie nobile. Oppresse dalla personalità straordinaria della madre e insieme contagiate da essa, le figlie di Maria Teresa ebbero quasi tutte matrimoni infelici. Per quanto riguardava Giuseppe, la situazione era di conflitto aperto: l’erede al trono è descritto dalle testimonianze come freddo e scontroso fin da piccolo, assolutamente intollerante nei confronti della grande madre. Maria Teresa lo fece educare in modo rigidissimo, probabilmente un modo per compensare psicologicamente la propria situazione di donna salita al potere senza alcuna conoscenza di amministrazione statale. Giuseppe reagì male a quelle che considerava la crudeltà e la miopia materne, al punto che i rapporti fra madre e figlio furono scontrosi fino alla morte di Maria Teresa.

Maria Teresa e la sua famiglia nel 1756 (la sovrana aveva trentanove anni). Giuseppe è il ragazzo vestito di rosso

Del resto la concezione che Maria Teresa aveva della famiglia imperiale era squisitamente politica: tutti, nessuno escluso, valevano esclusivamente per quello che potevano dare allo Stato. Matrimoni politici le figlie, un erede nella persona del figlio maggiore, altri matrimoni politici o ruoli di secondo piano per i figli minori. “Il dovere prima di tutto” era il motto della sovrana, al punto che ella scrisse al suo ambasciatore in Francia, disperato per aver perso un figlio: “Vi rimangono altri figli che non promettono meno di quello defunto”. Lei stessa, fedele a quello che riteneva il dovere principale di una regina, ebbe sedici figli, dieci dei quali le sopravvissero.

Maria Teresa era estremamente bigotta e pruriginosa: non tollerava la licenziosità e la promiscuità della nobiltà austriaca, al punto da costituire una “commissione di castità” incaricata di controllare la moralità sessuale e applicare il coprifuoco che vietava alle donne di camminare per strada sole dopo le otto di sera. Molti nobili, incluso Francesco Stefano, se ne rallegrarono, trovando molto divertente fuggire dalle guardie dopo una serata non proprio casta. L’intolleranza religiosa dell’imperatrice era tale da farle odiare gli ebrei, che subito dopo la guerra aveva espulso dalla Boemia confiscandone le proprietà con l’accusa di aver fornito informazioni e aiuti alla Prussia (fu costretta a richiamarli qualche anno dopo, resasi conto che erano il cuore e il motore dell’intera economia regionale). Aveva anche altri difetti: credeva fermamente nella pena di morte e nella tortura; spesso le punizioni erano pubbliche e crudelissime (gli assassini erano condannati, prima dell’esecuzione, a subire atrocità come il taglio della lingua e la bruciatura con ferri roventi). Maria Teresa arrivò a imporre regole di condotta rigidissime alla nobiltà: i nobili dovevano andare a messa tutte le domeniche, ricevere la comunione in presenza di testimoni, addirittura celebrare le feste in chiese indicate dalla sovrana in modo tale che lei potesse controllarli! L’atmosfera di proibizionismo era tanto opprimente che, dopo un breve soggiorno, Giacomo Casanova fuggì inorridito da Vienna.

 
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Pubblicato da su 26/10/2010 in Storia

 

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