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Archivio mensile:ottobre 2012

“Il Signore dei Sogni” nell’Archivio

Questa volta ho fatto il bravo e inserito subito la versione scaricabile de Il Signore dei Sogni nell’Archivio dei racconti. Seguite il link per avere il racconto in formato .pdf, .epub o .mobi, a seconda delle vostre esigenze ^_^

 
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Pubblicato da su 28/10/2012 in Comunicazioni di servizio

 

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Il Signore dei Sogni

“Voglio incontrare il Signore dei Sogni,” dissi al cinese davanti alla porta della Chiave d’Argento. Era un ometto scheletrico dalle labbra sottili come vermi, con un buco vistoso al posto degli incisivi. Mi fissò per un attimo, con gli occhi sbarrati, poi sfoderò un sorriso.

“Mi dispiace, ci deve essere un errore,” ciangottò in un francese imbastardito. “Non c’è nessun Signore dei Sogni, qui.”

Feci un passo avanti, incurante della puzza di marcio nel suo fiato. Il cinese indietreggiò con la prontezza di riflessi del codardo provetto. “Fammi strada, servo! So bene che questa baracca è sua. Non temere, non sono più un militare; voglio chiedergli un favore, non estorcergli qualcosa.” Prima che potesse sgattaiolare via, lo afferrai per lo strano colletto della sua camicia orientale e fissai lo sguardo in quei suoi occhietti da sorcio pareva sul punto da scoppiare per il terrore.

“Da questa parte,” balbettò. Mi condusse oltre l’ingresso anonimo della fumeria d’oppio, attraverso un’anticamera laccata di rosso e fino a una stanzetta laterale arredata con un tavolino, una sedia e una cassettiera con numerose etichette in ideogrammi. Il cinese aprì un cassetto e ne estrasse un foglio di carta stampata, che mi passò.

“Io, _______, originario di ______, voglio con questa mia rassicurare i miei amici e i miei cari di essere stato il solo artefice del mio destino, che ho scelto di mia spontanea volontà ed eseguito con le mie mani. Nessuno di coloro che lavorano alla Chiave d’Argento o la frequentano sono da considerare responsabili…” Sollevai lo sguardo sul cinese, che mi guardava di sottecchi reggendo una penna e un calamaio. “Cos’è questa roba?” ringhiai.

“Se volete incontrare il Signore dei Sogni, dovete scrivere il vostro nome e luogo di nascita e firmarla,” mormorò l’uomo. La sua paura mi diede la nausea. Ero nel locale del suo padrone, probabilmente stracolmo di guardiani nascosti, e se ciò che avevo appreso riguardo il Signore dei Sogni era vero, il fatto di essere un occidentale non mi avrebbe protetto dalla sua ira. Eppure, il cinese aveva il viso deformato dalla paura. Gli strappai di mano la penna e compilai le sezioni vuote della lettera, firmandola in calce. Prima di restituirgliela, ebbi un ripensamento e aggiunsi, in piccolo poco prima del nome, la sigla Cpt.

“Molte grazie, signore. Ecco, vedete? La metto assieme alle altre. Andiamo, adesso.” I modi di quel ratto di fogna si erano fatti di colpo più cortesi e avrei potuto giurare che ci fosse una sicurezza maggiore nei suoi gesti e nel suo modo di camminare. Era proprio vero che quegli orientali traevano grande conforto dai gesti rituali.

Il mio cicerone mi fece scendere una rampa di scale, oltre la quale si estendeva un corridoio su cui si affacciavano diverse stanze chiuse da pesanti tendaggi scarlatti. Nell’aria aleggiava il fumo azzurrino dell’oppio, il cui odore mi solleticò le narici. Per un attimo, seguendo l’istinto, fui sul punto di chiedere una pipa e dei grandi di quella sostanza; l’attimo dopo fui colto da un brivido familiare e ricordai il motivo per cui mi trovavo laggiù. Sognare era l’ultimo dei miei desideri, in quel momento.

In fondo al corridoio c’erano altre scale, che scendemmo fino a raggiungere un sambiente simile. La terza tappa del nostro viaggio fu la sala comune, nient’altro che una distesa di cuscini e corpi umani accumulati alla rinfusa sul pavimento; la dignità umana era un peso da cui quegli uomini, cinesi e occidentali, erano stati liberati dai fumi dell’oppio. La mia guida non si fece scrupoli a spingere da parte con il piede quei clienti che ci sbarravano la strada; nessuno di loro era cosciente di quello che gli accadeva intorno.

In fondo alla quarta rampa di scale non vi era che una porta di legno laccato di blu, sormontata da un pannello intarsiato: al centro della scena, una coppia di sognatori, una donna e un uomo, era sdraiata in un letto appena abbozzato, mentre attorno a loro si sviluppava un disegno intricato formato dalle sagome di creature di varie forme, molte delle quali non avevo mai visto; alcune erano simili a pesci e altre a uccelli, alcune tentacolate e altre pinnute, e la forma della maggior parte di esse era talmente assurda che doveva trattarsi del frutto di qualche allucinazione. Lo stile dell’opera non era del tutto orientale, ma non somigliava neppure a quelle che avevo visto nei musei del mio paese natio, e la rappresentazione aveva un che di inquietante, dal momento che le creature non sembravano tanto nascere dalle menti dei sognatori, quando stare in agguato al di fuori di essere. Mi sembrava strano che qualcosa di tanto suggestivo fosse relegato lì sotto e non, ad esempio, in bella vista nella sala comune, dove l’immaginazione sconvolta dalla droga dei fumatori ne avrebbe tratto sicuramente spunti per visioni incredibili.

“È qui che lavora il tuo Signore dei Sogni?” chiesi al cinese.

L’uomo scosse la testa. “No, ma qui vive la persona che può inoltrargli le vostre richieste. Prestate molta attenzione al vostro comportamento, vi prego; l’Oneirofaga è facile all’ira e, se davvero avete indagato, sapete bene cosa succede a coloro che la fanno infuriare.”

Avevo sentito delle voci, naturalmente, ma non fu il ricordo delle storie mormorate in pessime taverne e caffè di lusso a farmi sobbalzare. Nonostante parlasse a voce abbastanza alta e non troppo in fretta, il francese dell’ometto era così scadente che facevo una gran fatica a capirlo; eppure aveva pronunciato perfettamente una parola che doveva essergli ancora più aliena. Ma soprattutto, da dove saltava fuori un titolo del genere a Shangai e come mai un uomo di quella razza misogina parlava in modo tanto ossequioso di una femmina?

“Non preoccuparti di quello che farò io, servo,” gli intimai. “Annunciami, piuttosto.”

Obbediente, il cinese bussò tre volte e rimase in attesa. Non udii risposta, eppure, qualche istante dopo, la mia guida annuì e girò la maniglia, socchiudendo appena la porta e facendomi cenno di entrare mentre lui si teneva a rispettosa distanza dall’ingresso.

Sbuffando, premetti il palmo della mano contro la porta e la aprii completamente, facendo un passo dentro la stanza e lanciando tutto intorno a me uno sguardo colmo di stupore.

Il locale sembrava gigantesco, più grande della sala comune e di qualunque altra stanza avessi mai visto in vita mia. Dico “sembrava” perché non riuscivo a distinguere chiaramente i contorni o la forma di quella stanza, che mi faceva girare la testa al solo guardarla. Avrebbe potuto somigliare a un tempio greco o romano, per via delle colonne e dell’aria sacrale che vi regnava; oppure al teatro di una messa nera celebrata in nome di un demone che i primi cristiani avevano mutuato da chissà quale culto pagano, per via dei bassorilievi sui muri (talmente stilizzati che non ero in grado di decifrarli) e dell’onnipresenza dei colori blu marino e verde scarabeo. C’era qualcosa nelle decorazioni, negli angoli e nella luce (fredda e senza alcuna fonte visibile), che dava l’impressione di un ambiente mutevole come il riflesso di una visione sull’acqua e mi faceva dolere gli occhi. Annusai l’aria e credetti di cogliere un vago odore salmastro, mescolato a qualcosa che non riconobbi, ma che mi mandò un brivido lungo la schiena.

In fondo al colonnato era posto un trono dallo schienale ovale; seduta su di esso c’era una figura, un punto saldo in quel luogo cangiante. La sua corporatura era nascosta da un’ampia veste color oro, ma si trattava chiaramente di una donna con il capo coperto da una specie di scialle giallo annodato molto stretto. “Siete voi l’Oneirofaga?” chiesi da dove mi trovavo – forse dieci, forse cinquanta metri più in la -, cercando di mantenere la voce salda nonostante un principio di nausea.

“Così mi chiamano.” Per un attimo credetti che fosse parigina: il suo francese era perfetto. “Voi cercate il Signore dei Sogni, capitano…”

La interruppi. “Non mi piace sentirmi chiamare così. Non uso più quel titolo. E sì, sono venuto a parlare con il vostro padrone. Ma qualcosa di questo apparato mi suggerisce che voglia farsi desiderare.” Non mi sorprendeva il fatto che sapesse chi ero e come mi chiamavo; qualcuno doveva aver sbirciato la lettera e averglielo riferito tramite un qualche sistema di comunicazione.

L’Oneirofaga mi sorrise e, d’un tratto, mi parve di essere abbastanza vicino da poter distinguere i suoi lineamenti; non era una cinese – gli occhi erano rotondi – ma qualcosa nell’altezza degli zigomi, nella lunghezza del viso e nella forma appuntita del mento la rendeva diversa da qualunque donna avessi mai visto. Doveva essere una di quelle meticce nate dalla mescolanza di cinque o sei etnie diverse; simili individui non erano rari a Shangai. “Al contrario, nulla gli darebbe un piacere maggiore che essere qui con noi, ma purtroppo altre incombenze lo costringono altrove. Tuttavia, egli è comunque in grado di soddisfare un buon numero di richieste per mio tramite, fra cui la vostra. Ditemi, di quale sogno vorreste liberarvi?”

Questa volta non riuscii a non sobbalzare. “Come fate a saperlo?”

Il sorriso dell’Oneirofaga si allargò, mettendo in mostra una dentatura perfetta. “Per sognare esistono le camere superiori, ma per smettere di farlo occorre un altro genere di medicina. Non siete il primo soldato che viene da me per dimenticare.”

Fui travolto da un senso di sollievo; era il mio turno di sorridere. “Avete sbagliato,” dissi, lieto che in fondo quella donna non sapesse tutto. “Non è la guerra che voglio dimenticare.”

La donna inarcò un sopracciglio sottile. “Ero sicura che… non sognate il passato? Non vi tornano in mente l’odore della cordite, lo shrapnel che vi ha spezzato la clavicola, Grantaire intrappolato nel filo spinato…”

“No!” Fu una reazione istintiva, anche se sapevo benissimo che aveva ragione. Certo, ricordavo tutte quelle cose e altre ancora, che lei non avrebbe dovuto sapere. Mi si rivoltò lo stomaco e fui in procinto di girare i tacchi e fuggire come non avevo mai fatto prima di allora; ma poi mi dissi che, dopotutto, una strega in possesso di poteri simili poteva anche conoscere la cura per il mio male. “No, non sono quelli i ricordi che mi perseguitano,” aggiunsi a mo di specificazione.

“Cos’è stato, allora, a mettervi alla ricerca del Signore dei Sogni?”

Era una confessione vergognosa, ma che dovevo fare. “Una donna,” mormorai. “Una donna che conobbi in Francia, dopo la guerra e prima di partire per la Cina. La rivedo ogni notte. A volte mi deride e mi umilia fino a quando non mi sveglio; altre volte… altre volte non vorrei svegliarmi, ma succede comunque, e allora capisco di aver sognato.” Tacqui, attendendo una risposta.

“Ed è di questa donna che vorreste liberarvi?”

“Sì. Voglio tornare a essere un uomo, perdio!” esclamai. Mi sarei aspettato che le mie parole riecheggiassero per la stanza; invece fu come se l’ambiente le fagogitasse, come se avessi gridato in mezzo a un campo invece che in una stanza chiusa.

L’Oneirofaga si accarezzò una guancia con un dito. “Capisco. Sapete quale prezzo dovrete pagare?”

Deglutii a secco. “Lo so e ho già preparato tutto.” Tirai fuori dalla tasca interna della mia giacca una busta sigillata. “Qui dentro c’è l’indirizzo dell’uomo che custodisce quelle… cose, assieme alla parola d’ordine da utilizzare.” Feci un passo verso la donna e, un attimo dopo, fu come se la distanza si fosse contratta e lottai per non rovinare addosso ai gradini del trono. Riuscii appena a conservare la mia dignità.

“Tenete…” dissi, ma quando feci per tenderle la busta, vidi che la mia mano era vuota. L’Oneirofaga liquidò il mio sbalordimento.

“Non preoccupatevi; quelle informazioni sono in mano a persone fidate, adesso. È il momento di darvi quello per cui avete pagato.” Si alzò in piedi e scese con grazia i gradini. La veste che la copriva dal collo ai piedi emise un fruscio lievissimo, e persino da quella distanza non mi riuscì di determinare con precisione la sua corporatura. Quando a dividerci non fu che un palmo d’aria, una distanza indecente, si fermò e disse: “Pensate a quella donna. Non è necessario che visualizziate ogni dettaglio, è sufficiente un’immagine.” Sollevò le mani, dalle dita lunghe e magre, e con esse mi circondò il volto. “Poi baciatemi.”

Feci come mi aveva detto, avvertendo la familiare mescolanza di rabbia, amarezza e rimpianto tipica di quei sogni farsi strada di nuovo in me. Poi chinai il capo e premetti le mie labbra contro le sue.

E all’improvviso l’immagine cominciò a sgretolarsi, perdendo un dettaglio dopo l’altro. Un momento prima ricordavo alla perfezione il modo in cui il sorriso di lei illuminava ogni luogo in cui si trovasse; quello dopo non riuscivo più a vederlo. Ricordavo la forma delle sue dita e il modo in cui si reggeva il mento con la mano, le dimensioni e il colore dei suoi occhi, la lucidità dei suoi capelli scuri… e poi non più. Quando la lingua dell’Oneirofaga premette contro le mie labbra per farle schiudere, udii per l’ultima volta il suono della sua risata e pensai che, con qualche sortilegio, la strega l’avesse evocata in quello stessa camera; poi, per quanto mi sforzassi, non riuscii a sentirla.

Nella mia bocca esplose una miriade di sensazioni e sapori: il labbro di lei che cedeva piano sotto i miei denti, il sapore dolce del caffè che aveva appena bevuto, quello agrodolce della pelle del suo collo… uno dopo l’altro li sentii un’ultima volta e uno dopo l’altro svanirono, divorati da quella creatura che pareva trarne nutrimento e piacere. L’Oneirofaga si strusciò contro di me e, attraverso il tessuto della sua veste, sentii qualcosa di strano; una deformità, forse, o qualcosa indossato sotto, come un cilicio. Per accertarmene, passai le mani sopra il suo corpo nel gesto di un amante, ed ebbi la conferma del fatto che quell’abbigliamento serviva a nascondere qualcosa che avrebbe suscitato l’orrore di qualunque essere umano, anche uno distrutto dall’oppio o da qualunque altra droga. Mi tornò in mente la scena da incubo raffigurata nel pannello sopra la porta e rabbrividii al pensiero che quella non fosse una strega, ma una sacerdotessa, e che il dio osceno che adorava fosse quel Signore dei Sogni che avevo cercato come soluzione ai miei mali.

Ma cosa importava? I miei incubi sarebbero stati sopportabili, da quel giorno. L’orrore che in quel momento mi stava mordendo il labbro così forte da farlo sanguinare mi avrebbe liberato; non sarei più stato perseguitato dal suo odore , dal rumore dei suoi passi, dal fruscio dei suoi vestiti sulla sua pelle candida. Avrei potuto tornare a vivere come un uomo, un uomo conscio che esistono al mondo cose in grado di trasformare la realtà in sogno e di cibarsi delle memorie, ma pur sempre un uomo.

Dalla mia gola sfuggì un gemito; fu quel suono a farmi rinsavire. Incurante di quanto fosse disgustoso, premetti le mani sul petto dell’Oneirofaga e la spinsi via. La sacerdotessa inciampò sull’ultimo gradino e cadde all’indietro, urtando il bordo del seggio con la nuca. L’orrendo “crack” delle vertebre spezzate non fu sufficiente a distrarre la mia mente da quello che vidi quando la veste si sollevò leggermente e lo scialle attorno alla testa della creatura si allentò, rivelando in entrambi i casi qualcosa di gonfio, pallido e molliccio, simile a un verme o una sanguisuga, pulsante degli ultimi sprazzi di una vitalità oscena a cui, avevo posto fine.

Mi voltai e corsi verso la porta, che era ancora aperta; risalii le scale, calpestai i tossici nella camerata e salii di nuovo, attraversando i due corridoi ed emergendo nell’anticamera, senza mai smettere di pulirmi la bocca con la manica della giacca. Se avessi avuto dell’acido, me lo sarei gettato sulle labbra. Il cinese che mi aveva accolto sbucò fuori da un angolo e mi guardò con la bocca spalancata; forse, se avessi avuto un demone meno terribile alle calcagna, sarei stato più lento e mi avrebbe aggredito. Ma non lo fece e io fuggii nella notte, diretto verso la mia dimora. Non so come feci a ritrovare la strada, preda com’ero della follia; ricordo solo il momento in cui ho schiodato una certa asse del pavimento e recuperato un ciondolo, un ovale d’ottone contenente una fotografia. Fissai quell’immagine per quelli che forse furono minuti, forse ore, cercando di imprimermi nella mente ogni dettaglio, ogni segno e ogni sfumatura di quel volto. La foto non mi avrebbe restituito i ricordi che avevo perso, ma mi sarebbe bastata fino all’alba e nel corso del lungo viaggio in treno fino alla Francia; non sarei mai più salito sopra una nave, perché quel pannello e quella stanza mi avevano fatto capire che il Signore dei Sogni era una creatura marina, e io avevo ucciso la sua sacerdotessa.

Sarebbe stato un viaggio lungo, sì, e forse non mi avrebbe dato che nuovi incubi; ma avevo imparato che al mondo esistono troppe cose orribili per rischiare di perdere quelle meravigliose.

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Pubblicato da su 27/10/2012 in Racconti

 

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Lucca e aggiornamenti vari

La settimana prossima c’è Lucca Comics & Games. Quest’anno avrei dovuto andarci con una persona speciale, che purtroppo ha dovuto rinunciare. Così, nel mio cuore, “Lucca” è diventato “Lucca senza di lei” e un pochino meno attraente.

Anyway, se qualcuno (tipo la bambolotta nazionale, che so andrà alla fiera in costume secsi) avesse voglia di trovarsi con il sottoscritto nonostante la vaga aura di cupezza che probabilmente lo circonderà, mandatemi una mail e ci organizziamo. Chissà che non riesca a intristire anche voi.

Anche il compagno di giochi del Lupacchiotto Feroce è intristito. My heart is with you, darling.

Passando ad argomenti un po’ più allegri (per me, se non altro): mi sono iscritto al NaNoWriMo, una sorta di “sfida autoimposta” in cui ciascun partecipante si impegna a scrivere un romanzo di 50.000 parole in un mese. Nell’improbabile caso in cui riuscissi a completarlo, ve lo pipperete. Vi suggerisco di fuggire in una qualche zona dell’Antartide dove non esistono mezzi di comunicazione con l’esterno, soprattutto internet. Donne avvisate (esistono uomini che leggano questo blog? se sì, fate la brava minoranza e non rompete)…

Nei prossimi giorni, pubblicherò un nuovo episodio di Gente che cerca: le chiavi di ricerca assurde indicatemi da WordPress sono troppe per non condividerle con il resto del mondo. Prima, però, dovrò scrivere una mail a quelli di Google per segnalare che questo non è un blog erotico, eccezion fatta per qualche occasionale foto di cosplayer o pornostar.

/summon Asa Akira

“E gli altri articoli a quando, Baka?” A quando ne avrò voglia, figliola. Ora vattene dalla cucina, che devo preparare l’impasto per la focaccia (sto sperimentando con questa ricetta; l’aggiunta di pancetta non è andata bene come prevedevo, ma credo che le olive nere saranno la scelta vincente).

 
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Pubblicato da su 22/10/2012 in Comunicazioni di servizio

 

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