La morte e l’Aldilà
La domanda più importante a cui la religione è chiamata a dare una risposta riguarda la morte. Per gli antichi, la morte era la fine di tutto; c’erano degli Aldilà, ma secondo i Greci e i Romani essi erano popolati da semplici ombre dei viventi, fantasmi che non erano affatto le persone defunte, ma tutt’al più loro immagini. Quando un essere umano moriva, smetteva di pensare e di provare sensazioni: in altre parole, la sua coscienza svaniva. Per questo la gloria era così importante, perché in un certo senso consentiva di “vivere dopo la morte” nel ricordo dei posteri.
Il cristianesimo, invece, prevede la sopravvivenza dell’anima nell’Aldilà. Quest’ultimo ha due aspetti: uno splendido, per chi è vissuto seguendo i precetti della religione, che è il Paradiso, e uno terrificante, destinato ai peccatori, ossia l’Inferno. Il primo è il luogo della ricompensa, il secondo quello della punizione, e il soggiorno dell’anima in uno dei due è eterno.
L’idea che dopo la morte possa esserci, per i virtuosi, un’eternità di piacere, crea immediatamente un problema: se l’Aldilà è tanto bello, perché non andarci il prima possibile? Una persona potrebbe vivere per, diciamo, vent’anni rispettando scrupolosamente ogni minima prescrizione o divieto, quindi ingerire una dose mortale di tranquillanti, certa di andare in Paradiso. È inutile dire che la società crollerebbe se tutti fossero ansiosi di morire; per evitare che ciò accada, il cristianesimo ha sviluppato l’idea che il suicidio sia un peccato che condanna automaticamente all’Inferno. Questa istituzione è chiaramente fasulla: perché Dio dovrebbe condannare alla dannazione eterna chi si toglie la vita? È vero che costui, morendo per sua mano, potrebbe provocare grandi sofferenze nei suoi cari, ma in tal caso non potrebbero suicidarsi anch’essi, certi di reincontrarlo nell’Aldilà? Dov’è il problema, dal punto di vista di Dio? Tra l’altro, molto spesso il suicidio è una scelta dettata da condizioni di vita insostenibili, praticamente un Inferno in terra; l’idea che una persona sofferente al punto da desiderare la morte debba essere punita con la dannazione è assolutamente malvagia e crudele.
Lo stesso concetto di Inferno è pieno di contraddizioni. Perché una persona dovrebbe soffrire per l’eternità a causa dei propri peccati? Gli esseri umani più longevi mai vissuti non hanno superato di molto i cento anni: se anche avessero commesso azioni tali da destinarli, secondo la religione, all’Inferno, una pena del genere sarebbe in ogni caso sproporzionata alla colpa, che per forza di cose non può aver avuto conseguenze altrettanto durature o essersi protratta per lo stesso periodo di tempo. E poi, che senso ha una pena eterna? Lo scopo della punizione, nelle società moderne, è sopratutto quello di contribuire al recupero del reo; ma dall’Inferno non si esce.
La religione istiga alla malvagità
La Storia e l’agiografia sono piene di esempi di crudeltà istigata dalla religione. Prendiamo il caso di Perpetua, sbranata dalle belve nell’anfiteatro di Cargagine nel 203 dopo Cristo: la giovane, cristiana, fu condannata a morire in questo modo orribile per aver rifiutato di adorare l’Imperatore come un dio. Nonostante avesse un figlio neonato, genitori che la amavano e, probabilmente, un marito, ella scelse di abbandonarli tutti per non contravvenire al Primo Comandamento: “Non avrai altro dio all’infuori di me”. Quanto avranno sofferto il padre e la madre di Perpetua per questa decisione presa per non contravvenire a un precetto? Quanto avrà sentito, quel bambino, la mancanza della madre mai conosciuta? Tanto dolore fu causato dal rifiuto di bruciare un semplice blocchetto d’incenso di fronte a una statua. Se folle era la legge che condannava chi compiva il rifiuto alla morte, altrettanto lo era il motivo della scelta, e crudele è quel Dio che non perdona chi antepone la forma esteriore della fede ai propri doveri nei confronti di chi la ama.
Non dimentichiamo, poi, le innumerevoli guerre e le violenze commesse in nome della religione. Le Crociate, lo sterminio degli Ugonnotti in Francia, le continue persecuzioni degli Ebrei nell’Europa cristiana, l’oppressione a cui gli Inglesi protestanti hanno sottoposto – e ancora sottopongono, anche se probabilmente per altri motivi – i cattolici irlandesi: tutti massacri giustificati dalla fede. Una fede che, come Crono, quando non trova altri nemici comincia a divorare i propri figli: così accadde al cristianesimo, che dopo aver messo fuori legge gli altri culti prese a perseguitare le proprie stesse minoranze. Per non parlare della giustificazione fornita dalla religione all’omicidio di innumerevoli donne innocenti, condannate per stregoneria e uccise in modi terribili. Il Paradiso è una promessa allettante per chiunque, al punto da fargli dimenticare le più elementari norme di civiltà e rispetto.
Questi sono, fra gli altri, due dei motivi per cui non posso dirmi cristiano.