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“Hokuto no Ken”: l’heroic fantasy di Buronson e Hara

In questi giorni sto scrivendo un racconto da postare sul blog. È un racconto fantasy, molto diverso dalla serie “Lo spettatore del 18 giugno”, e mi sta prendendo più tempo del previsto. Nel mentre, sto anche rileggendo Hokuto no Ken o, come lo conoscono i più, Ken il guerriero. È stato un pilastro della mia infanzia e, riprendendolo in mano, l’ho trovato fresco e piacevole come nessuna rilettura mi è mai sembrata: questo fumetto è talmente splendido da avermi strappato, in alcuni punti, qualche lacrima, anche se conoscevo benissimo la storia. L’ambientazione, i personaggi, le situazioni e i colpi di scena mi sono sembrati perfetti come la prima volta… ma mi sono reso conto di una cosa: quella dell’ultimo erede della Sacra Scuola di Hokuto è una storia fantasy!

Un numero del fumetto

Più precisamente, Ken il guerriero appartiene al genere heroic fantasy, di cui fanno parte anche Conan il barbaro ed Elric di Melniboné. Si tratta, nelle parole di Ron Edwards, di un genere “ineguagliabile per la sua miscela unica di eccitazione, aggressività, visionarietà, intensità, trasgressione e gioia” (dall’introduzione di Sorcerer&Sword). Heroic fantasy sono le epopee di eroi dalla personalità straordinaria, potenti ma fallibili, che non rispondono a nessuna autorità o convenzione e il cui unico vero interlocutore è il Destino: come Conan, Cyrion, Elric e Skafloc… e anche Kenshiro, Raoul, Toki, Rei, Shin e tutti gli altri protagonisti di Hokuto no Ken. Anche il mondo in cui si svolgono le storie ha tutte le caratteristiche delle ambientazione heroic fantasy: è un “tempo dei lupi” (Edwards), in cui abbondano le vestigia del passato e il futuro è incerto. Le arti marziali rappresentate nel fumetto possono essere considerate una forma di magia nella quale convinzione ed emotività non sono meno importanti delle doti fisiche di chi le pratica. Lo stesso personaggio del titolo, Kenshiro, sembra vittima di un destino che lo obbliga a essere sempre al centro di un qualche conflitto e a ricevere cicatrici nel corpo e nell’animo.

L’ambientazione

Dopo una lunga e accurata ricerca sulle fonti originali, Ron Edwards ha descritto l’archetipo dell’ambientazione heroic fantasy in questi termini:

  • è un ambientazione semi-storica con regni “ordinari” sovrapposta al Tempo che Fu, il quale include almeno una civiltà umana caduta;
  • confini, organi di governo e persino la tecnologia sono leggermente anacronistici, ovvero appropriati a epoche più familiari. L’ambientazione non ha un vero senso rispetto alla Storia registrata;
  • l’ambientazione non prevede leggi basate su principi, diritti civili o qualunque genere di “progresso”. A nessuno passa per l’anticamera del cervello di essere socialmente costruttivo;
  • la gente accetta distinzioni razziali politicamente molto scorrette; magari non fatte proprie dall’autore, ma date per scontate dai nativi. È un’epoca razzista. In modo simile, il sesso è discriminante e per le donne la vita è difficile, anche se, come nell’età Vittoriana, alcune trovano modi per aggirare il sistema;
  • non esistono specie umanoidi carine e simpatiche. Se esistono non-umani, di solito sono molto affini all’umanità oppure talmente mostruosi da essere considerabili demoni.

Il mitico Raoul, il più carismatico fra gli avversari di Kenshiro

Ora, proviamo a confrontare quanto detto sopra con il mondo di Ken il guerriero. Abbiamo:

  • una Terra postapocalittica in cui, avendo forza sufficiente, si possono fondare regni e persino imperi;
  • un mondo in cui la forza è l’unica legge e i più deboli devono soccombere;
  • un mondo in cui esistono persone tanto deformi da non sembrare nemmeno umane e individui dai poteri soprannaturali

Sembra la sintesi delle caratteristiche individuate da Edwards, no? Poco importa che invece di spade e stregonerie ci siano armi da fuoco (ma anche strumenti di morte più esotici, come i fucili spara-aghi, e bizzarrie come i motociclisti armati di lancia da cavaliere) e arti marziali fantastiche. La tecnologia e le forme assunte dal soprannaturale non sono discriminanti per identificare o meno un’ambientazione come heroic fantasy.

Il mondo di Hokuto no Ken è un posto terribile, dove si può morire in qualunque momento per il capriccio di un potente. A meno di non incrociare Kenshiro e ottenere il suo aiuto, nascere in un mondo del genere è una condanna alla sofferenza e a una vita breve. Ma è anche un mondo in cui la forza di un singolo può provocare grandi mutamenti e dove, pur dovendo morire, si può almeno fare in modo di non morire invano, come Ain (il cacciatore di taglie) verso la fine della seconda serie.

I personaggi

I protagonisti dell’heroic fantasy sono capolavori di egoncentrismo. Essi sono e hanno personalità talmente dirompenti da travolgere qualuque cosa si pari sulla loro strada. Non rappresentano altro che loro stessi, senza avere alcuna implicazione simbolica o morale, il che consente loro di essere umani e contraddittori come persone vere: per questo Raoul può sterminare un numero incalcolabile di persone indifese nella sua corsa al potere, piangere per la malattia di Toki, amare Giulia e, nei suoi ultimi momenti, alzare il pugno al cielo e fare la dichiarazione suprema: “Io non rinnego la mia vita!” Che non significa altro che Raoul è Raoul e che lui non si pentirà per far piacere a qualche moralista che lo vorrebbe redento. Raoul non ha fatto nulla da cui redimersi. Lo stesso vale per Shin, Souther e tutti gli altri avversari di Kenshiro: sebbene alcuni di loro possano essere chiamati “malvagi”, quasi tutti hanno personalità complesse e ottime ragioni per fare quello che hanno fatto.Ragioni che, in ultima analisi, sono perfettamente coerenti con il comportamento da loro mostrato e li rendono persone comprensibili, addirittura in grado di commuovere nonostante il lettore li abbia visti commettere atrocità d’ogni genere.

Souther, l’uomo che odiava l’amore, nell’interpretazione di Erik Von Lehmann (Deviantart)

Lo stesso Kenshiro, del resto, non aiuta i deboli in nome di chissà quale principio morale: lo fa semplicemente perché trova i malvagi spregevoli o perché le loro vittime lo colpiscono in qualche modo. Sono i sentimenti a guidare le sue azioni. Quando uccide lo fa con brutalità, a volte è addirittura crudele e raramente esita a farlo. Questo è coerente con il suo background: l’ultimo erede di una tecnica omicida millenaria non può essere un bonaccione.  Egli stesso si definisce più volte “un assassino”.

Un’altra caratteristica fondamentale dei personaggi heroic fantasy è che essi agiscono molto più di quanto non parlino o pensino. Questo non significa che siano rozzi o insensibili, ma che difficilmente il dubbio li paralizza: sono capaci di prendere una decisione in fretta, anche se ciò non implica che non riflettano prima di agire. Avete mai visto Kenshiro rimanere sorpreso per più di una vignetta? E Raoul?

I protagonisti di Hokuto no Ken mostrano le caratteristiche tipiche dei personaggi dell’heroic fantasy: sono uomini d’azione, guidati solo dai propri sentimenti.

La magia

Nell’heroic fantasy la magia è qualcosa di misterioso e terribile. Non è sfolgorante né bella a vedersi, ma questo non la rende meno potente o spaventosa. Per venirne in possesso non è sufficiente lo studio: occorre fare sacrifici e sottoscrivere patti con cose lontane dall’esperienza umana. Gli stregoni sono persone estranee al mondo dei mortali, più simili ai demoni loro alleati che agli esseri umani. Questa descrizione si applica perfettamente alle scuole di Hokuto e Nanto e ai loro praticanti.

Le arti marziali di Hokuto no Ken non sono arti di cui tutti possono impadronirsi. Occorre avere il sangue giusto, che sembra essere addirittura più importante dell’allenamento, e una volta entrate a far parte di una persona non possono essere dimenticate (come dimostra ciò che accade a Ken quando perde la memoria, verso la fine della quarta serie). Almeno nel caso dell’arte di Hokuto, per raggiungerne le vette occorre fare sacrifici crescenti, al punto che la tecnica finale può essere padroneggiata solo da coloro il cui animo ha toccato le vette del dolore. Infine, queste arti marziali richiedono una disposizione d’animo tale da segnare per sempre chi le pratica.

Oltre a tutto ciò, i maestri delle scuole di Ken il guerriero sembrano particolarmente sottomessi al destino. Nonostante siano i guerrieri più forti, ciascuno di loro ha un fato di cui sembra ben consapevole: per Kenshiro è quello  vagare eternamente per il mondo, per Raoul quello di scontrarsi con il fratello adottivo, per Toki quello di anteporre sempre il bene altrui al proprio. La loro abilità di combattenti, se da un lato li rende liberi, dall’altro li imprigiona.

Con la stregoneria dell’Era Hyboriana o dei Regni Giovani, le arti marziali di Hokuto no Ken hanno in comune anche la sensazione di terrore che suscitano in chi le osserva. Sono arti mortali che distruggono i corpi e, in alcuni casi, anche le menti. Non cè nulla di naturale o pulito nel modo in cui uccidono.

L’uomo con la pistola è Jagger, uno dei fratelli adottivi di Kenshiro

In conclusione, Ken il guerriero non è un fumetto postapocalittico o d’azione, ma un’opera heroic fantasy vera e propria. Sopratutto, è un’opera sempre giovane, che può essere riletta molte volte a distanza di anni senza perdere nulla: un vero classico, senza nessuna delle sfumature negative che possono connotare il termine. Hokuto no Ken non è il frutto di idee o tecniche ingenue o superate, come può essere un manga apparentemente simile quale Saint Seiya (che tutto è tranne che heroic fantasy), ma una vera e propria gemma nel panorama letterario internazionale. Con la sua ambientazione suggestiva, i personaggi completi e l’azione incessante, questo fumetto è un modello per tutti gli autori che vogliano occuparsi di fantasy in modo serio.

 
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Pubblicato da su 26/04/2011 in Fumetti, Letteratura, Uncategorized

 

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