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Festeggiamo anche noi la settimana dei DRM

Almeno, visto che dappertutto ne parlano, suppongo che questa sia la settimana dei DRM… e anche se non lo è non importa, l’articolo ve lo pippate lo stesso. ^_^

Cosa sono i DRM? La sigla sta per Digital Rights Manager e si riferisce a ogni tecnologia  che restringe l’uso non desiderato (da chi detiene il copyright) di contenuti digitali. Sono DRM quei file o programmi che impediscono di trasferire un file musicale da un supporto fisico a un altro (CD—>PC, ad esempio), che impediscono la copia di un programma o si connettono automaticamente a un servizio esterno (come Steam) per verificare che sia originale, e via dicendo. Ce ne sono migliaia, di tutti i tipi e per tutti i contenuti (giochi, film, musica, ebook, tricchettracche e bombeammano). In sintesi, un DRM riduce la fruibilità di un prodotto digitale in nome della tutela del copyright. A prima vista, non sembra ingiusto: i poveri editori, produttori e quant’altro avranno pure il diritto a tutelarsi contro la pirateria, no?

Chuck Norris: il DRM dell'umanità!

No, non ce l’hanno. Non in questo modo, almeno. Non soltanto perché le attuali leggi su copyright e diritto d’autore fanno acqua da tutte le parti, ma anche e sopratutto perché nessuno dovrebbe avere il diritto di farsi del male danneggiando anche gli altri, il che è esattamente quello che i DRM fanno. Lo stesso concetto di “copyright” è fallato: concentrandosi sulla “copia” di un prodotto invece che sul bene in sé, produce tutta una serie di aberrazioni, prima fra tutte l’incoraggiamento alla pirateria. Sì, “proteggere” i contenuti digitali con DRM non fa altro che incitare la gente a piratarli. Perché?

Supponiamo che siate talmente… vabbeh, supponiamo che vi siate comprati Semplicemente sei di Gigi D’Alessio nella versione con lettore MP4 incorporato (notizia old, lo so, ma è la prima che mi è venuta in mente, anche perché all’epoca sul “Giornale di Brescia” la passai io). Le canzoni dell’album stanno sul lettore e sono protette da DRM, quindi non le potete copiare o trasferire da nessuna parte. Un bel giorno il lettore decide di abbandonare questo mondo crudele e voi perdete non solo le canzoni in più che ci avete caricato, ma anche tutti i brani dell’album che avete pagato, dal momento che non avete potuto farne una copia di backup. Se le aveste scaricate in modo piratesco, questo problema non ci sarebbe stato: di ognuna avreste avuto una copia sul PC, una sul vostro lettore MP4 personale e magari un’altra da qualche altra parte.

"E mò sò cazzi vostri!"

Problemi simili, o addirittura peggiori, si hanno coi videogiochi. Alcuni consentono solo un numero limitato di installazioni su macchine diverse, per esempio cinque; il che può sembrare insignificante (chi ha sei computer in casa, dopotutto?), ma non lo è: perché diavolo dovrei perdere la possibilità di usare il programma dopo aver cambiato PC cinque volte? Non ha minimamente senso, se non per costringermi a comprare una nuova copia. Senza contare che alcuni DRM sono buggati e considerano ogni nuova installazione sulla stessa macchina (magari formattata per liberarvi di una montagna di virus) come un’installazione su un PC diverso, col risultato che la vita del prodotto si accorcia ancora di più. Altri DRM obbligano ad avere una connessione internet attiva per avviare il programma, in modo che possano autenticarlo, col risultato che, se lo avete installato sul portatile e non c’è una rete wireless nel luogo in cui vi trovate (in treno, ad esempio), non potete usarlo. Le versioni pirata, naturalmente, aggirano questi problemi, anche se in alcuni casi sono limitate per ragioni di necessità (nel 90% dei casi è impossibile giocare online con un gioco piratato, ad esempio, perché il server lo riconosce come “fasullo”).

In entrambi i casi sopra citati avete ottenuto un prodotto peggiore, pagando, di quello che avreste potuto avere gratis. A questo punto, in nome di cosa uno dovrebbe acquistare musica/giochi/ebook/sarcazzo originali? Della legge (lololol)? Dell’etica (quale? quella di chi mi fa comprare la stessa cosa due volte?)? Della propria stupidità? Non prendiamoci in giro: questa concezione preventiva e punitiva della tutela dei “diritti” di chi produce qualcosa non sta né in cielo né in terra. È immorale vendere roba utilizzabile solo parzialmente perché qualcuno, da qualche parte, potrebbe abusare della versione completa (cosa che, peraltro, si fa comunque, lololol). Peggio ancora, è stupido: la pirateria continua a esistere nonostante i DRM e, al tempo stesso, nessuno è mai andato in rovina per colpa di essa. Semmai, scoraggiando le persone dal comprare roba farcita di bachi, prodotti dal terrore che qualcuno possa piratare una copia, non si fa altro che danneggiare le proprie vendite. I pirati, infatti, sono divisibili in due categorie:

  • gente che non può comprare;
  • gente che non vuole comprare;

Entrambi si possono conquistare offrendo prezzi competitivi e adeguati alla qualità del prodotto o servizio offerto. Io stesso ammetto di aver giocato alla versione pirata di Fallout 3 prima di acquistarlo in saldo su Steam: con tutti i suoi bachi e i crash frequentissimi, quel gioco non valeva non solo il prezzo all’uscita di 50 euro, ma nemmeno i trenta a cui era arrivato; solo quando è stato messo a dieci ho ritenuto opportuno comprarlo. L’utilizzo di DRM e, contemporaneamente, l’applicazione di un prezzo alto non hanno in alcun modo fatto sì che i produttori avessero i miei soldi. Certo, adottare e mantenere una politica differente non è facile: occorrono autocritica e intelligenza (intesa nel senso etimologico del termine, come capacità di inter legere, ossia di “leggere fra le righe” del mercato e dei circuiti pirata).

Ripeto: i pirati di entrambe le categorie sono potenziali clienti, ma campacavallo se si vuol vendere loro robaccia piena di DRM. Questi ultimi, finora, hanno soltanto incoraggiato la pirateria, visto che pagare porta soltanto rogne (canzoni non trasferibili, giochi non avviabili offline, ecc).

Nell’era digitale, la “copia” non può più essere un valore. La gente è disposta a pagare per esperienze o servizi di qualità. Con il venir meno degli oggetti fisici (e di conseguenza di buona parte dei costi di produzione, distribuzione, magazzino, ecc) come punti di riferimento, editori e produttori dovrebbero mirare a conquistare nuovi clienti con prodotti fruibili al cento per cento, mentre la cultura del commercio dovrebbe promuovere l’idea che è bene pagare qualcosa fatto bene; non, come è stato finora, quella che bisogna pagare perché sì e se poi non va bene ti arrangi, perché da quest’ultima nasce inevitabilmente se sei “furbo” te la caverai in qualche modo, che non può essere la base di una società funzionale.

OMG! IT'S A TRAP!

P.S. Sì, sì, lo finisco quel maledetto racconto. Datemi un po’ di tempo.

 
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Pubblicato da su 09/04/2011 in Letteratura, Rant, Uncategorized

 

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